Wednesday, July 24, 2013

Smackabbrit - "Made in Low Italy" (2011)

Album (TNA Records, 2011)

Formazione (2010):   Domenico di Filippo – voce/chitarre/basso;
                                   Giuseppe Laudado – chitarra (entrato recentemente);
                                    Cristiano delle Rose – basso (idem);
                                    Emanuele Zocaro – batteria.

Località:                      Furci (Chieti), Abruzzo.

Canzone migliore del disco:

“Fake”.

Punto di forza del gruppo:

gli assoli.


Certo che non credevo mai che Timpani allo Spiedo avrebbe prima o poi ospitato gruppi addirittura nu metal come i Backtheory e gli Smackabbrit (entrambi curiosamente provenienti dall’Abruzzo). Mi ricordo quando io scrissi il primissimo editoriale della ‘zine, quando ancora la spedivo tramite mail. L’obiettivo era di diffondere il verbo del metal estremo in ogni sua forma, ma con il preciso intento di mandare affanculo gruppi commerciali come Trivium, Cradle of Filth e compagnia simile. Però, poco a poco, il raggio d’azione della ‘zine si è allargato notevolmente fino a comprendere, per l’appunto, il nu metal, genere che in fin dei conti ho sempre apprezzato, tanto che il mio disco preferito di questo stile è persino il primissimo album dei Limp Bizkit, che ormai sono dei ricchi sfondati e fanno irrimediabilmente cagare. Ma nell’A.D. 1997 sputavano una rabbia senza pari, che forse solo gli Slipknot e i Soulfly sono riusciti a eguagliare, se non a superare.

Detto ciò, gli Smackabbrit non sono esattamente un gruppo di puro nu metal. Infatti, nella loro musica, vi è parecchio metalcore lento, di quello che anche i Backtheory masticano un po’, e in più vi sono occasionali rimandi a un thrash grooveggiante, magari contaminato da influssi panteriani anche nella voce. Quindi, gli Smackabbrit, pur essendo abbastanza pesanti e scevri da qualsiasi influenza rap (beh, più o meno), prediligono nettamente i tempi medio – lenti. Praticamente, si può dire che gli Smackabbrit vadano veramente veloci nella sola “G.N. Your End (with Laganas Bitch)”, dove ci sono dei considerevoli tupa – tupa che potrebbero essere sviluppati meglio nelle future produzioni. E pensare che è il pezzo più strano dell’album, essendo diviso in due sezioni inframmezzate da una lunga pausa, rendendolo così un brano da quasi 10 minuti!

Un’altra anomalia viene dal comparto chitarre, precisamente dalla chitarra solista, la quale occupa non poche volte uno spazio importante, sia partorendo degli assoli belli fantasiosi, sia completando/integrando il riff di base. Non a caso, gli episodi migliori dell’album sono quelli con gli assoli (uno/due al massimo), ed è un peccato che la metà dei pezzi non ne presenti nemmeno uno.

Il gruppo ha una notevole fantasia nel differenziare i vari brani, sia dal punto di vista atmosferico, sia da quello inerente la loro struttura, che spesso si presenta ben curata e dagli slanci imprevedibili (come la sorprendente “Killer Part Time”, l’unica che non segua un vero e proprio schema a strofa – ritornello). Atmosfericamente parlando, bisogna dire che gli Smackabbrit non disdegnano le melodie, così da creare due pezzi altamente drammatici come “Cold Alien” e “Five Seconds to You”, e uno più sui generis perché totalmente acustico (a parte per la presenza di una batteria elettronica, che però rovina un po’ l’atmosfera del brano), come “Intoxicated by Words and Songs”.

Ma in quest’album si ha la curiosa tendenza a spezzare la tensione, che spesso si raggiunge e altrettanto spesso non viene sviluppata definitivamente. Come in “Vices Again”, che ha una parte centrale con tanto di chitarra pulita che presupponeva un climax fortemente drammatico, ma, invece di ciò, viene ripetuto insistentemente il ritornello, non aggiungendo così niente di nuovo. Ma il punto debole del gruppo viene dai momenti metalcore, di cui c’è un abuso grave, vuoi perché essi possono presentarsi lungo la stessa parte centrale in luogo degli assoli, vuoi perché hanno non poche volte il compito di concludere i pezzi, specialmente durante la seconda parte del disco. In più, i passaggi metalcore sono anche belli lunghi, ragion per cui, un pezzo in potenza molto intenso come quello finale, cioè “G.N. Your End”, risulta purtroppo debole.

Alla fine, credo che gli Smackabbrit abbiano fatto il classico passo più lungo della gamba, visto che sarebbe stato meglio pubblicare prima un demo per testare le proprie potenzialità e poi l’album, anche perché questo è lungo la bellezza di quasi 52 minuti. Il suo principale difetto è la sua discontinuità, dato che la prima parte è notevole (le prime 4 canzoni sono dei piccoli capolavori), mentre la seconda è altalenante. E questo è veramente un peccato, perché il gruppo ha un sacco di caratteristiche notevoli, come per esempio il comparto vocale, che si presenta molto vario e s’adatta benissimo alla differente atmosfera dei pezzi con tanto di (rari) cori militanti molto vicini al metalcore più politicizzato. Per ora, consiglio al gruppo di provarci di più con gli assoli e di seguire la scia delle primissime canzoni, che a tratti sono di una complessità non comune nell’ambito del nu metal.

Voto: 69

Flavio “Claustrofobia” Adducci

Scaletta:

1 – First Revolution/ 2 – Killer Part Time/ 3 – Fake/ 4 – Cold Alien/ 5 – Monsters Playground/ 6 – How to Kill a Wife/ 7 – Intoxicated by Words and Songs/ 8 – Vices Again/ 9 – Bad Ball/ 10 – Rotten (Like a Zombie)/ 11 – Five Seconds to You/ 12 – Gaeta Rules!!!/ 13 – G.N. Your End (with Laganas Bitch)

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