Friday, December 27, 2013

Asghath - "Hopes Choked Under a Blackened Sky" (2013)

Album (SBRT Records, Settembre 2013)

Formazione (2009):    Asghath – voce/chitarre/basso/drum – machine.

Provenienza:               Pesaro, Marche.

Oh, non posso farci niente! Quando ascolto un gruppo che fa uso della drum – machine mi riesce molto difficile apprezzarlo veramente. Se non sbaglio, infatti, su Timpani allo Spiedo gruppi del genere non hanno mai ottenuto voti eccellenti, a parte forse il solo – progetto Dark Paranoia, ma per il resto c’è il buio più totale. Quindi, è riuscito Asghath a bloccare per un po’ questa tendenza? Boh, ma intanto continuate a leggere.

“Hopes Choked Under a Blackened Sky” è l’album di debutto di Asghath, comprendente 10 pezzi (incluse intro e la bella e lunghissima outro tastierosa intitolata "One Roamed Through A Boundless Forest") per circa 30 minuti di un black metal semplice e grezzo come la vecchia scuola insegna e alle volte contaminato con il thrash (come si può notare nei primissimi brani). Alcune delle canzoni sono più gelide o melodiche di altre, ma (quasi) tutte sono ultra – veloci, piene quindi di blast – beats distruttivi, anche se non mancano dei buoni cambi di tempo, ergo non aspettatevi roba tipo i Marduk et similia. Ovviamente, da queste parti sono completamente banditi gli assoli, mentre qui e là si possono trovare delle tastiere melodiose, come nella titletrack (non con buoni risultati, purtroppo). Invece, la voce è un urlo effettatissimo e profondo.

Le canzoni che più mi sono piaciute sono “Spiritvs Lvpi” e la seguente “Non V’E’ Alcuna Prossima Alba”. La prima è quella più orientata sui tempi medio – lenti, ed è strutturata praticamente in crescendo. “Non V’E’ Alcuna Prossima Alba”, invece, è malatissima perché ha un intreccio di voci veramente folle e avvolgente, e da questo punto di vista si distingue benissimo dagli altri brani, anche per un’atmosfera più disperata del solito.

Ma questi due sono gli unici frammenti di luce (nera) dell’intero album. Il problema è che il resto delle canzoni manca spesso di inventiva, vuoi perché esse riprendono sempre le stesse cose per tutta la loro durata seguendo un rigoroso schema sequenziale (un esempio lampante è “Great Eagle Army”), vuoi perché alle volte si ripete ossessivamente lo stesso passaggio musicale in maniera un po’ fine a sé stessa, come nel finale tastieroso e strumentale della titletrack. Per di più, la voce ha la tendenza a scomparire per parecchio tempo, cosa che non aiuta di certo a rendere più intensa tutta la musica.

In parole povere, si poteva creare qualcosa di meglio con questo black metal darkthroniano e dalla produzione zanzarosa. La cosa assurda è che, di tutti i gruppi della SBRT Records finora recensiti, mi sono piaciuti soltanto gli Acheronte, che pure non sono dei geni nel comporre i vari brani. Vabbè dai, sarà per la prossima volta.

Voto: 58

Flavio “Claustrofobia” Adducci

Tuesday, December 10, 2013

Mudgrave - "Swamped" (2013)

EP Album (SBRT Records, 2013)

Formazione (2011):     Edo – voce/basso;
                                   Dario – chitarra/voce;
                                   Davide – batteria.

Provenienza:                Ravenna, Emilia - Romagna
Aaaah, finalmente si ritorna a recensire in italiano e, aaaah, che goduria, la SBRT Records ritorna a far sentire la sua puzza infernale dopo che mesi or sono vennero recensiti sempre su queste pagine i grezzissimi Abyssal Flames. Ora è il turno dei Mudgrave, bestia nera che ha esordito con quest’EP intitolato “Swamped”, comprendente 9 pezzi per “soli” 20 minuti circa di massacro sonoro.

Il gruppo mi è stato presentato come death metal, ed effettivamente il nome lo lascia supporre. Ma, a dir la verità, il death viene praticamente accennato soltanto in alcuni pezzi, perché i nostri suonano una specie di speed/thrash primitivo contaminato fra l’altro dal crust e, in misura minore, dal black metal. Tutte queste influenze si possono sentire subito nella canzone d’apertura “Mud Golem”. Ritmicamente parlando, non aspettatevi qualcosa di ultra – brutale perché è il tupa – tupa, e non il blast – beat (pur presente ma a piccole dosi), a regnare incontrastato con qualche incursione in parti piene di groove, sia in stile thrash che crust, e non manca neanche qualche pattern un pochino più complicato e fantasioso del solito (ma non allarghiamoci, va’!).

Il gruppo sa differenziare sufficientemente bene i pezzi fra di loro, alternando quelli più semplici e d’impatto con quelli, diciamo, più imprevedibili e complessi. Alcune volte, invece, i Mudgrave preferiscono essere belli ossessivi, come nel poco fantasioso “Ghoul Party”, che a un certo punto s’inchioda su uno stesso passaggio (e peccato, anche perché il suo groove di partenza mi ricorda molto “Victims of Madness” degli svedesi Dischange), e “He Was Born Headless (So I Called Him Christian)”, pezzo praticamente dominato da un botta e risposta alla fine poco efficace fra due soli passaggi, pur avendo certi ottimi momenti death metal che però potevano essere sviluppati meglio. Parimenti, ogni canzone dura massimo 2 minuti e mezzo circa, con l’unica eccezione costituita da “Plague Rats”, il solo episodio a non raggiungere neanche i 2 minuti durando solo qualcosa come 100 secondi. E in tutti i pezzi vi attende un approccio sonoro che più che collettivo non si può perché, un po’ come negli Abyssal Flames, non c’è un accenno di chitarra solista che sia… mezzo.

Parlando del comparto vocale, questo è composto principalmente da un grugnito rozzissimo ma non particolarmente profondo. Qui e là c’è qualche urlo come dei semplici coretti (vabbè, chiamiamoli così). Ma c’è un “piccolo” problema: solitamente in questo genere di gruppi la voce ha un ruolo preponderante per rendere ancora più intensa e “viva” la musica in modo da compensare la sua povertà, invece qui ha un ruolo a tratti addirittura secondario perché è capace di assentarsi pure per parecchio tempo rendendo così poco potente l’intero insieme, già piuttosto minimalista per conto suo. Così, si può dire che certi pezzi finiscano all’improvviso, cioè senza aver dato tutto quello che dovevano dare (e qui “Ghoul Party” è più che esemplificativa). E non scordiamo che la batteria sembra essere una drum – machine che, pur essendo stata programmata piuttosto bene (sempre sperando che sia veramente tale), non aiuta poi così tanto a rendere più devastante e profonda la musica.

La canzone finale “The Farewell Song” è però una chicca da veri intenditori perché è goliardica ma soprattutto… piena di rutti fino a scoppiare! Sentire per credere!

Alla luce di tutte queste stronzate che ho scritto, bisogna dire che i Mudgrave se la cavano, sanno sputare anche qualche accenno melodico (orrore!) che non guasta mai, ma hanno il problema di essere un po’ scostanti. Vanno cioè da pezzi fighi come “Mud Golem”, “Straight to Your Forehead” e “Remains for Bacteria” (guardacaso alcuni fra i pezzi più crust del lotto, con il primo e l’ultimo che hanno anche buone inflessioni death metal) ad altri con parti inutilmente strumentali e per nulla intensificate neanche dalla batteria. Quindi, i miei consigli sono di dare più importanza alla voce, magari aggiungendo più cori, e di creare un muro sonoro sì primitivo ma possibilmente con maggiori incursioni nel crust e nel death metal… e con una batteria vera. Ma non dovremmo aspettare molto per vedere un nuovo olocausto dei Mudgrave, perché già stanno lavorando al nuovo disco. E adesso, scusatemi ma devo andare a cagare!

Voto: 68

Flavio “Claustrofobia” Adducci

Scaletta:

1 – Mud Golem/ 2 – Plague Rats/ 3 – Knuckles – Teeth Contact/ 4 – Straight to Your Forehead/ 5 – Ghoul Party/ 6 – He Was Born Headless (So I Called Him Christian)/ 7 – Family Trip/ 8 – Remains for Bacteria/ 9 – The Farewell Song

Sunday, December 1, 2013

Vorum - "Poisoned Void" (2013)


Full – length album (Woodcut Records, 25th January 2013)

Line – up (2006):    Jonathan Johansson – vocals/guitar;
                                Matti Jalava – guitar;
                                John Finne – bass;
                                Mikko Josefsson – drums.

Location:                Maarianhamina (Finland).
 Cover artwork: Alexander L. Brown
Do you know what are my favourite albums of the “new old” death metal? Also if you don’t care, they are the technical “Contragenesis” of the Australians Ignivomous, the wild but inventive “Morbid Priest of Supreme Blasphemy” of the Polish Kingdom and, dulcis in fundo, the ultra – crazy “Through the Eternal Damnation” of the Turkish Engulfed. Then, I should mention… oh yeah, I mention also the sick “Oath of the Abyss” of the USA monsters Ritual Necromancy, that have a sound so recognizable to be very influential with one only album, also thanks to the dirty and muddy production of the infamous Necromorbus Studios. In fact, Vorum plays a death metal a bit similar to the Ritual Necromancy, also if in a less asphyxiating way and few black metal derivations, but there are certain moments that remind strictly to them.

“Poisoned Void” is the debut album of Vorum, that, after their birth as Haudankaivaja, have vomited 8 tracks per 35 minutes of an obscure death metal without melodies. Their approach alternate in a wise way the bombastic blast – beats and tupa – tupas with slower tempos that have often a good groove, while the doom moments are rare but sometimes with remarkable surprises. The lead guitar has a good importance on the Vorum’s music, so every tracks has a solo at least, and I must notice that the solos are well – differentiated between them, injecting to the music a very pregnant atmosphere. Instead, the vocal sector is characterized by growls more “human” than the usual and very similar to the growls of Germaniac of Verminous (just reviewed yesterday). In other moments our happy Finnish singer shoots frightful murmurs, that are fashionable nowadays (and they are always effective!).

But one of the more recognizable features of Vorum comes from the structure of their songs. There are often breaks into the songs, shooting not few times some thundering restarts close to the heart attack (as in “Impetuous Fires”, one of the more intense and “ignorant” track of the album). In this way, the song that develops this scheme to the top is “Thriving Darkness” that, for the truth, is the episode more orientated to the mid – slower tempos, and, thanks to its sudden and frequent breaks and detachments, it is also very very puzzling.

In fact, Vorum are very able to puzzles the listener, and they do this through many ways. As in “Rabid Blood”, full of apocalyptic solos a là Ritual Necromancy coming directly from the more impossible visceras of the Inferno, not forgetting its freezing solo a là Hellhammer (yeah, there are little black metal influences here and there on the album). Or as in the titletrack, 7 minutes of pure delirium that ends repeating and varying the same passage in total paranoia for 3 minutes circa (classic finale for many death metal albums), developing it in a great way.

All these bullshits to saying “Poisoned Void” is a true masterpiece! Its only (relative) flaw is to be better during its first part that’s generally more intense and inventive than the second half, that stands out thanks to the great closing track. All this is introduced by a cryptic atmosphere. Nothing else, if you’ll want to enter the nightmare’s world of the Vorum, you’ll saved from your will maybe… but if you’ll unprepared for it you’ll go mad soon in a more bad way than the main characters created by H.P. Lovecraft.

Vote: 84

Flavio “Claustrofobia” Adducci

Tracklist:

1 – Impetuous Fires/ 2 – Death’s Stains/ 3 – Rabid Blood/ 4 – Thriving Darkness/ 5 – Evil Seed/ 6 – In Obscurity Revelead/ 7 – Dance of Heresy/ 8 – Poisoned Void

BandCamp:


Official site:

http://www.vorumdeath.com/