Saturday, September 28, 2013

Praise the Flame - "Profane Cult" (2013)

Hi guys,
the following review is the English translation of my first article for an Italian 'zine called Heavymetalwebzine. If you want to read the original review (in Italian), here you are the link:


Expect other and great reviews of this kind for the future (like "Swarming Darkness" of Slutvomit, HELL YEEAAAH!). So,

ENJOY THE FUCKIN' READ!

EP (Apocalyptic Productions/Blood Harvest Records, February 1st 2013)

Line – up:         JJ – vocals/guitars;
                          Necroterror – bass;
                          Druaghonik – drums.

Location:          Santiago (Chile).

Better song of the EP:

“Doomed by Darkness”.

Better feature of the band:

Its incredible fury combined with a lethal complexity.

This is an excellent assault to start my adventure with this ‘zine. In fact, the awesome Swedish label Blood Harvest Records has re – released “Profane Cult”, adding to its five tracks (classic black mass’ intro included) for 21 minutes circa both the outro and the cover of “Before the Creation of Time” of the Unleashed, that were absent in the original version published by the little Chilean label Apocalyptic Productions.

But the Praise the Flame follow the US style combined with the typical South – American fury, crushing the listeners’ ears with a great dose of tupa – tupas and angry blast – beats. So, the slow/mid – tempos are rare, especially during the first two tracks, but the slowdowns are always nervous and complex. In brief, the groove moments are literally banned on this EP.

I can explain that gap saying that Praise the Flame plays an ancient and neurotic death metal full of tempo shifts, all the more so because they are often very close to the technical death metal (“Path to Dark Despair”), since the tracks are also very long from the 4 to 6 minutes of length. The solos are noisy and wicked as the old – school wants, but they aren’t so short as it should be considering their style (and the solo of “Doomed by Darkness” has also some indefinite and perverse melodies). Anyway, there’s a solo per song, “Path to Dark Despair” excluded.

The vocals are awesome because they consist of growls so versatile and diabolic to has an incredible deepness. I must mention, in particular, the fast and thundering line vocals of “Doomed by Darkness”. Curiously, the vocals starts their vomits after one minute of music in almost every song, because the band loves the long and exhausting introductions.

The production of “Profane Cult” is dirty with every instrument at its place. Instead, the cover track (that is very stick to the original song, as it is obvious) has a more raw and “live” sound. Damn, I like it!

All in all, Praise the Flame are very fuckin’ good ‘cause they combine the brutality and chaos at their best with a bunch of technique and complexity, despite their music is considered by the label as “barbaric death/thrash metal” (OK, but where is thrash metal?). I found no flaws on “Profane Cult”, simply I consider better its second half because it has a better balance between the fast moments and the slow ones – so to intensify the entire assault in a more rational way – but also because the black metal incursions are more frequent on it (listen to the freezing intro with arpeggios of “Doomed by Darkness”). So, Praise the Flame have showed again, as if it were needed, the excellent (and satanic) health of Chilean old – school death metal scene, that’s releasing a masterpiece one by one in these last times.

Vote: 81

Flavio “Claustrofobia” Adducci

Tracklist:

1 – Perpetual Covenant (intro)/ 2 – Mayhemic Wrath of Glorior/ 3 – Endless Scourge/ 4 – Doomed by Darkness/ 5 – Path to Dark Despair/ 6 – Outro/ 7 – Before the Creation of Time (Unleashed cover)

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Friday, September 27, 2013

Nastenka Aspetta un Altro/Preti Pedofili Split (2013)

Split autoprodotto (2013)

Ragazzi, stanotte sono stato martoriato da una cicala (o era un grillo?) fino alle 4 di mattina. Dopodichè, per chiudere in bellezza, al mio raffreddore con tosse si è aggiunto un mal di testa palloso che ora, fortunatamente, è abbastanza leggero e sopportabile. Perlomeno ieri sera, sacrificandomi sull’altare della musica, ho dato un’ultima ripassata a quest’interessantissimo split di 2 pezzi per banda prima di scrivere questa recensione che vi state apprestando a leggere. Però, vi devo avvisare che non solo lo split non c’entra un fico secco con il metal (estremo), seppur sia per metà bello estremo secondo i canoni variegati di Timpani allo Spiedo, ma è pure composto da 2 gruppi molto diversi l’uno dall’altro, cosa che in uno split più tradizionale accade raramente.
 Un consiglio: girate l'immagine, e poi
ditemi che cosa vedete.

Formazione (2012):     Alfonso Errico – voce;
                                      Leonardo Albanese – chitarra;
                                      Mauz Cavaliere – basso;
                                      Wadir Marchesiello – sintetizzatori.

Località:                       Foggia, Puglia.

Miglior brano:            “Patto con la Bimba Bianca”.

Punto di forza del gruppo:   la voce che trascina e trascina risucchiandoti nelle sue immagini.

La prima banda risponde al curioso nome di Nastenka Aspetta un Altro, che ha debuttato discograficamente l’anno scorso con un ep. La sua musica è a dir poco rilassante e tetra allo stesso tempo. Non c’è una vera e propria batteria, più che altro si tratta di beats minimalisti e lenti, mentre la chitarra è un po’ noisy e un po’ melodica, intessendo spesso trame malinconiche. In certi casi, il lavoro di chitarra può ricordare quello dei fiorentini Maelstrom, i cui due dischi sono stati recensiti tempo addietro proprio su queste pagine. Tale similitudine trova conferma anche nella voce, che più che cantare parla, in modo cupo e pensieroso in “Impero”, e in maniera più confidenziale e a tratti grintosa in “Patto con la Bimba Bianca” (qui il cantante introduce addirittura la canzone dicendo esplicitamente il suo titolo). Ragion per cui, l’ascoltatore viene trascinato dalle immagini evocative della voce, anche perché i testi sono molto belli e pure positivi (come quello di “Patto con la Bimba Bianca”). Ma non dimentichiamoci dei sintetizzatori, i cui astrattismi ora scuri ora più rassicuranti e ambient interpretano ogni volta benissimo il mood delle canzoni. Non saprei definire la loro musica, che forse è una specie di trip – hop molto atmosferico.

Formazione (2011):      Andrea Strippoli – voce/chitarre;
                                       Enrico Romano – chitarra baritona/basso;
                                       Francesco Strippoli – batteria.

Località:                        Foggia, Puglia.

Miglior brano:             “Cancro”.

Punto di forza del gruppo:    anche in questo caso la voce, stavolta per la sua subdola violenza.

I Preti Pedofili, che hanno già pubblicato due EP, sono di tutt’altra pasta, anche perché li trovo molto più facili da etichettare. Suonano una via di mezzo fra il jazz, il noise e il punk sperimentale (o post – punk per farla breve). Ma soprattutto la loro è una musica isterica, nevrotica, risultando fondata su una batteria (vera) che spara ritmi complessissimi e senza groove; su chitarre che praticamente devastano le orecchie dell’ascoltatore con un bel po’ di rumore e “riffs” ipnotici; su un basso più preciso e ordinato che rende meno caotico il tutto; e su un cantato terrificante caratterizzato principalmente da un sussurrio rantolante e minaccioso, che poi in “Cancro” viene sostituito a tratti da un urlo fastidiosamente piacevole. Come i Nastenka Aspetta un Altro, anche i Preti Pedofili sanno come differenziare i propri pezzi, seppur in modo un poco più subdolo, e in questo sono da menzionare alcune pause molto atmosferiche e cattive di “Cancro”. Le liriche, anche queste in italiano, sono meno comprensibili di quelle dell’altro gruppo, e per questo consiglio di gustare i Preti Pedofili con un bel paio di cuffie, così da rendere giustizia al loro folle immaginario.

Tirando le somme, di questo split mi sono piaciuti soprattutto gli introspettivi Nastenka Aspetta un Altro, che mi hanno emozionato decisamente di più, nonostante la maggior esperienza accumulata dai Preti Pedofili, che adesso se ne sono usciti addirittura con il loro primo album intitolato “L’Age D’or”. Comunque sia, fatevi un favore comprando questo split di circa 16 minuti che non ve ne pentirete… a meno che non vogliate farvi aumentare il mal di testa senza prevedere quello che vi spetta ascoltando i Preti Pedofili!

Voto Nastenka Aspetta un Altro: 80
Voto Preti Pedofili: 77

Flavio “Claustrofobia” Adducci

Scaletta:

1 – Impero/ 2 – Patto con la Bimba Bianca/ 3 – C’est femme l’autre nom de dieu/ 4 – Cancro

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Friday, September 20, 2013

Oblyvion - "Oblyvion" (2013)

Album autoprodotto (Agosto 2013)

Formazione (2004):   Vincenzo Lodolini – voce/chitarra;
                                    Valentina Campanari - voce (in 6 e 9);
                                    Riccardo Lodolini – chitarra;
                                    Daniele Lai – basso;
                                    Ivan Fusco – tastiere.

Località:                     Tuscania (Viterbo), Lazio.

Pezzo migliore del disco:

“A Long Embrace”.

Punto di forza del gruppo:

la sua capacità di avvolgere l’ascoltatore.
Sì, lo confesso: quando devo ascoltare e recensire album con la bellezza di 13 pezzi per 50 minuti e più di musica, mi viene letteralmente il terror panico. Dovermi memorizzare tutti i brani diventa un’impresa titanica e qualche volta faccio lo sbaglio di ascoltare tutto d’un fiato un disco simile, soltanto per verificare “e adesso cosa s’inventeranno questi?”, con il risultato di uscire perfettamente rintronato da quest’esperienza. Preferisco notevolmente gli album da mezz’ora, perché in questo caso il gruppo non si può concedere cedimenti essendo obbligato a dare il meglio di sé sempre e comunque così da giustificare una durata, diciamo così, esigua. Ma ultimamente, m’è capitato di recensire quel capolavoro dei Desolator che risponde al nome di “Unearthly Monument” che, pur raggiungendo quasi i 50 minuti, ha ben 12 pezzi. Vediamo dunque se gli Oblyvion (che, per inciso, sono l’ennesimo gruppo laziale, ospitato su queste pagine, che ha due fratelli in formazione! Curioso) sono riusciti a onorare degnamente l’ambiziosa durata del loro album di debutto.

Prima di tutto, bisogna dire che gli Oblyvion (che si sono riuniti nel 2011 dopo lo scioglimento di 5 anni prima) hanno messo praticamente di tutto perché, dei 13 pezzi, “At the Gates” è un’intro, “Afterlife” e “Blood Moon” sono delle strumentali, “In the Fog” è un breve pezzo acustico (strumentale) mentre “Painkiller” è ovviamente una cover dei Judas Priest, oltre a essere una vera e propria traccia - fantasma. Ma, come avrete forse ben intuito dal titolo dell’intro (“At the Gates” non lascia adito a nessun dubbio, non trovate?), la musica degli Oblyvion rientra palesemente nella categoria del death metal melodico. Il loro, però, non solo è ultra – melodico ma anche tremendamente tecnico, con tanto di frequenti e lunghissimi assoli di chitarra, accompagnati spesso e volentieri da – udite udite! – soli di tastiera (come giustamente dovrebbe fare ogni gruppo provvisto di tastierista, che altrimenti rischierebbe di suonare solo qualche “riff”), strumento fra l’altro molto utile per iniziare e concludere i vari episodi. Quindi, l’assalto degli Oblyvion è veramente avvolgente, anche perché la chitarra solista non si limita a fare gli assoli, ma pure a completare spesso il riff della ritmica. Fa una cosa simile il basso, che si dimostra molto utile dal punto di vista melodico, specialmente in “Afterlife”. C’è un buon equilibrio fra i tempi medi e quelli veloci ma, se i primi dominano in canzoni come “Buried Angel” e “Afterlife” , i secondi sono costituiti più che altro da  tupa – tupa anche parecchio esagitati, quindi scordatevi i blast – beats che in pratica sono presenti solo nell’introduzione mezza black di “Oblivion”, a parte che in “Painkiller”. Ma attenzione che la batteria è una drum - machine, ergo il gruppo sta attualmente cercando un batterista.

Tutto ciò significa che la vera e propria cattiveria è perlopiù assente, altro che At the Gates! O meglio, nel comparto vocale un po’ di pura “ignoranza” come piace a me c’è, dato che, oltre a delle urla disperatissime e sofferte (lo stile vocale principale), utili a intensificare la drammaticità della musica degli Oblyvion, qui e là sono presente dei grugniti bassissimi che, adatti come sono a un gruppo death più tradizionale, riescono a creare un bel contrasto con il tutto. Peccato quindi che quest’ultimi siano poco usati, e quando lo sono doppiano solitamente le urla, ma un pezzo come “A Long Embrace”, dove questi due stili vocali si alternano molto bene, non si lascia dimenticare facilmente. Anche perché, in questo brano (come in “Spectral Forest”, del resto) vi è una bella voce femminile operistica. Però, il cantato spesso si assenta per parecchio tempo per dar spazio a lunghe fasi strumentali, riducendo così un po’ troppo le sue incredibili forze.

Un altro difetto del gruppo è che, atmosfericamente parlando, le sue canzoni si assomigliano non poco. In pratica, solo “A Long Embrace”, con la sua cattiveria vocale, e “Painkiller” riescono a dare varietà timbrica a tutto l’album, come un po’ fa “Black Sheep”, con le sue tastiere neoclassiche. Poi, ci sarebbe anche “Wandering Blood”, che a un certo punto ha uno stacco folk, peccato che non sia stato sviluppato debitamente. In questo senso, preferisco decisamente gruppi simili come i bielorussi Stormhold e i trentini Joyless Jokers, che sono incredibilmente più fantasiosi nonostante tutti gli sforzi profusi dagli Oblyvion per creare pezzi belli potenti, che fra l’altro incorrono talvolta in veri e propri deja – vù, come nell’introduzione di “Mental Disease”, che somiglia un po’ a quella di “Buried Angel”.

Ma, attenzione, gli Oblyvion sanno creare belle canzoni (come la strumentale “Afterlife”, che è qualcosa di grandioso). A dispetto di ciò, mi aspettavo però di più, e credo che “A Long Embrace” possa essere il punto di riferimento da cui ripartire in futuro. Anche perché manca qualcosa in cattiveria, tanto che spesse volte, più che a un gruppo death metal, sembra di trovarsi davanti a un gruppo di power metal moderno. Oppure, si potrebbe variare la musica più dal punto di vista atmosferico, partendo magari da un tema concettuale per svilupparlo per tutta la durata di una canzone, un po’ come hanno fatto i Dark Season di "Cruel Domination". Insomma, le alternative ci sono, la qualità e la tecnica non mancano assolutamente, bisogna solo lavorare un po’ di più per rendere al meglio tutto l’insieme. E, per favore, la prossima volta cercate di creare qualcosa di meno ambizioso per quanto riguarda il minutaggio anche perchè 13 pezzi sono praticamente un’infinità! Ah, un’altra cosa: chi è il batterista?

Voto: 73

Flavio “Claustrofobia” Adducci

Scaletta:

1 – At the Gates/ 2 – Oblivion/ 3 – Buried Angel/ 4 – Lying Mask/ 5 – Afterlife/ 6 – A Long Embrace/ 7 – Mental Disease/ 8 – In the Fog/ 9 – Spectral Forest/ 10 – Black Sheep/ 11 – Wandering Blood/ 12 – Blood Moon/ 13 – Painkiller

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Sunday, September 15, 2013

Desolator - "Unearthly Monument" (2013)

Full – length album (Hellthrasher Productions, June 30th 2013)

Line – up (2009):    Stefan Nordstrom – guitar/vocals;
                                 Joakim Rudemyr – guitar/vocals;
                                 Jonas Bergkvist – bass/vocals;
                                 Victor Parri – drums.

Location:                 Stockholm/Sollentuna (Sweden).

Better song of the album:

“Age of Annihilation”, mega – violent and mysterious at the same time.

Better feature of the band:

Its variety through violence and a good dose of technique.
Cover artwork: Rafal Kruszyk 

Ultimately, the Polish label Hellthrasher Productions has released many masterpieces of the so – called “new wave of old – school death metal” like the immense “Through the Eternal Damnation” of the Turkish Engulfed or “Morbid Priest of Supreme Blasphemy” of the Polish Kingdom. So, I say already I should add to this short list the debut album of Desolator that, despite its length of 48 minutes circa of music per 12 tracks (in brief, an eternity!), deserves throughout. Let’s see why.

First of all, I need to say that Desolator started as a doom/death metal band, this thing is audible especially during the first part of the album (for example, listen to “Feeding Frenzy”). For the rest, their music is now an ancient death metal with some thrashy moments like the Swedish school wants. In addition, their assault is always various and rich of many surprises during the listening, preferring a violent approach full of tempo shifts, that sometimes can be so frequent to closes to the more technical death metal (the introduction of “Age of Annihilation” is a good example for that), while the riffing is often well – elaborated. So, don’t except real melodies but only dark and/or strange melodies so to inject a good sense of atmosphere, like in “Age of Annihilation”, thanks to a lead guitar that at times plays short and mad solos. All the music is played, as I wrote before, with violence preferring the two - beats than the blast – beats but, when these ones are present, crushes again and again in a way very close to the Tiamat of “Sumerian Cry”.

The vocals are dominated principally by hoarse growls, accompanied both by diabolic screams (that shoots all their hate generally along with the main vocals) and by low and frightful growls. This alternation between these vocals’ styles emerges above all in “Feeding Frenzy” and “Impaled”. Besides this, the vocal lines are excellent, also because they are always in the right place into the right moment, this is a rare thing to find in many bands.

But the Desolator know how to write the songs with fluidity and intensity. In fact, the songs’ structure is dynamic and also free enough from many and particular sequences, these ones are used only to not lose the threat of the music, especially as regards tracks like “Bludgeoned, Beaten and Berated”. The band uses very well the breaks, so to intensify the entire music to the top and to create some ferocious restarts, maybe changing suddenly the pace from a very slow doom to destructive ultra – blast beats (at this time, listen the memorable “Mass Human Pyre”, that is really shocking!). But I mustn’t forget the long introductions of some songs of the first part of the album (especially the aforementioned “Mass Human Pyre”, that is curiously very close to the ‘80s heavy metal as regard its introduction) and the skills of the drummer, able to create some good variations so to help the other instruments also through complex patterns.

I liked very much the production of “Unearthly Monument” ‘cause it is dirty but powerful and clean at the same time, every instrument is into its own place. And I love the sound of drums, it is raw and true as it’s must be!
In brief, “Unearthly Monument” is a Mister – debut album, it has everything, also a mid – tempo song like “Second Killing of Christ”, some minimalist keyboards (“Age of Annihilation” and the atmospheric intro of “Antimortem Autopsy” where it reminds to me at times the sad soundtrack of the World War II movie titled “Operation Daybreak”, released in 1975 – wow, what a paragon, don’t you think?) and some acoustic guitars into the intro and the outro. The only flaw of this album is its length, but the Desolator are succeeded to diversify the various song in a very good way, showing a very good technique in every second. Now, I believe I said everything about the album, so do you a favour buying it without boundaries, okay?

Vote: 86

Flavio “Claustrofobia” Adducci

Tracklist:

1 – Thy Flesh Consumed/ 2 – Desolated/ 3 – Gravefeast/ 4 – Mass Human Pyre/ 5 – Infernal Gathering/ 6 – Feeding Frenzy/ 7 – The Triumph of Death/ 8 – Bludgeoned, Beaten and Berated/ 9 – Second Killing of Christ/ 10 – Impaled/ 11 – Age of Annihilation/ 12 – Antimortem Autopsy

FaceBook:


MySpace:


Official site:

http://desolator.info.se/

Monday, September 9, 2013

Sonnenrad - "Demo" (2013)

Demo (Xenoglossy Records, 2013)

Formazione (2012):   Morderin – voce;
                                    Krieger – chitarra/drum – machine;
                                    Die Reine – basso chitarra/voce.

Località:                    Brescia/Viareggio/Firenze, Lombardia/Toscana.

Pezzo migliore del demo:

“A Ferro e Fuoco”.

Punto di forza del gruppo:

i suoi momenti più black/thrash.
Certo che Sonnenrad è veramente un bel nome per un gruppo black metal. Già, e perché? Semplice, perché Sonnenrad (meglio conosciuto da noi come “Sole Nero” – Schwarze Sonne in tedesco – o “ruota dell’anno”) è una specie di variante della svastica, e guardacaso fu adottata da una delle società segrete che ispirarono la mistica nazista, cioè la Vrill Geselschaft, oltre che anni dopo dalle SS Schwarze Sonne, nonostante il simbolo sia nato durante il periodo medioevale tedesco. Inoltre, si pensa che esso “rappresenti il sole in relazione con il passare dei mesi successivi” secondo le “4 principali festività” (Wikipedia dixit). Ma poi, il capoccia della neonata Xenoglossy Records (di cui il demo che mi sto apprestando a recensire costituisce la sua prima uscita) mi rassicura che i Sonnenrad non hanno nessunissimo legame con il nazismo. Anzi, ‘sti 3 pazzi si ritengono dei nichilisti, mentre alcuni di loro addirittura stalinisti. Insomma, in parole povere questo giovane gruppo appartiene alla categoria delle formazioni provocatorie, un po’ sulla scia dei ferraresi Pork Delikateszen, altri simpatici tipi che amano scherzare in modo “leggermente” equivoco.

A ogni modo, dopo avervi snocciolato un po’ di cultura di bassa lega, questo demo rappresenta il primissimo assalto dei Sonnenrad, risulta composto da 4 pezzi (compresa intro e cover) per un totale di soli 8 – 9 minuti circa di delirio sonico. I nostri vomitano con amore infernale un black metal grezzissimo ma tecnicamente abbastanza buono (però non aspettatevi assoli di nessun tipo o chissà quali virtuosismi) eppure stranamente camaleontico, facendo così apparire in modo veramente poco omogeneo l’intero disco. Infatti:

-          l’intro è semplicemente un pezzo semi – acustico di circa un minuto e 40 con tanto di pioggia torrenziale e sussurrii minacciosi;

-          la successiva “A Ferro e Fuoco” (l’episodio più lungo di tutti dati i suoi 3 minuti e mezzo di durata) è un brano di semplice black/thrash metal fondato quasi esclusivamente sui tupa – tupa e strutturalmente sul più classico 1 – 2 – 1 – 2 con pausa e rallentamento nella parte centrale, per poi riprendere nel finale la distruzione iniziale;

-          ma incredibilmente diversa è “Hail Sonnenrad” che, cantata chissà perché in tedesco, spara di base un black melodico blasteggiante un po’ più strutturato, pur offrendo cambi di tempo a tratti troppo forzati e passaggi poco sviluppati, magari perché la voce scompare per lunghi periodi;

-          infine, la cover di “People to Erase” dei Noia è di sicuro il brano più figo di tutto il lotto, ma qui i Sonnenrad, completamente fedeli al pezzo originale, cambiano totalmente genere spiattellando un bel crust intenso con qualche punta thrash, tupa – tupa a oltranza e schema classico 1 – 2 – 1 – 2, il tutto in un solo minuto e mezzo di follia.

Il comparto vocale è abbastanza interessante, risultando caratterizzato principalmente da urla talvolta belle folli e “schifose” (soprattutto nel pezzo auto celebrativo) con tanto di qualche sussurrìo e grugniti elargiti con il contagocce. Ma c’è un problema: le voci sono state così effettate e impostate su toni bassi da essere veramente poco intense, anche perché può capitare che gli altri strumenti le seppelliscano indecorosamente, e questo è un vero peccato.

Ricapitolando, questo primo demo dei Sonnenrad soffre di disomogeneità, di un terzo pezzo poco incisivo e di una produzione a tratti discutibile, oltre ad avere un minutaggio troppo risicato per offrire un giudizio più obiettivo… e la drum – machine, croce e delizia del black metal dalla fine degli anni ’90 in poi. Quindi, io consiglierei ai nostri di seguire le direttive black/thrash/crust, nelle quali i Sonnenrad sembrano essere più a proprio agio; di essere il più diretti e semplici possibile per quanto concerne la struttura dei pezzi (“A Ferro e Fuoco” è in fin dei conti l’unico pezzo originale convincente)… e di trovare assolutamente un batterista in carne e ossa, in modo da dare la giusta spinta al “macello totale” (Carlo Verdone docet) che il gruppo ha in mente.

Voto: 59

Flavio “Claustrofobia” Adducci

Scaletta:

1 – Intro/ 2 – A Ferro e Fuoco/ 3 – Hail Sonnenrad/ 4 – People to Erase

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Saturday, September 7, 2013

Intervista ai Veratrum!

Carissime e carissimi,
oggi vi faccio leggere un’intervista veramente sui generis, perché riguardante i testi del primissimo album dei Veratrum intitolato “Sentieri Dimenticati”, che io recensii ormai un anno fa o qualcosa del genere. Alle mie domande risponde Haiwas, cantante del gruppo lombardo, che ha snocciolato un po’ di cultura occultistica/esoterica parecchio interessante e lontana dai toni superficiali generalmente preferiti dal resto dei gruppi..

BUONA LETTURA!

1)      Ciao, finalmente mi sono ricordato di trattare le liriche del vostro primo album! Quindi, partiamo subito con questa domanda: di cosa parlate più esattamente in “Sentieri Dimenticati”? Lo si può ritenere un concept – album?

Ciao Flavio. Sì, è un concept album che parla del viaggio del protagonista, l’Uomo, verso i continenti di Atlantide, Thule e Agarthi. Questi luoghi mistici sono molto importanti per l’esoterismo in quanto simboleggiano valori e ordini di idee ben precisi. Prima però, l’Uomo diventa un mago nel corso di un cammino che termina con l’Ars Goetia.

2)      Infatti, nelle liriche si citano spesso e volentieri i cosiddetti continenti perduti, appunto Atlantide, Thule e Agarthi. Perché ne siete così affascinati? Credete veramente che siano mai esistiti? E perché li avete collocati in questo cammino spirituale dell’Uomo?

Direi che sono oggettivamente affascinanti. L’origine di questi miti affonda le sue radici nei secoli passati. Sono simboli: Atlantide è la società perfetta; Thule la spiritualità eccelsa e Agarthi il sapere. Quindi, ricapitolando, sono rispettivamente la politica, la religione e la scienza nello stato più puro. Queste tre città non sono mai esistite ma sono descritte da personaggi illustri. Per quanto riguarda Atlantide il riferimento viene, ovviamente, dal Crizia di Platone. Thule venne descritta dal geografo greco Pitea che la descrisse di ritorno da un lunghissimo viaggio cominciato dall’odierna Marsiglia. Probabilmente egli giunse fino in Islanda. La descrizione che ne fa sembra combaciare. Per esempio, si può pensare alla menzione degli “elementi che si fondono”. In Islanda si trova l’acqua in parte al fuoco e al ghiaccio. Di sicuro lo spettacolo avrebbe impressionato un antico greco. Nel tempo l’idea di Thule assunse tratti esoterici e mistici che culminarono nella sciagurata Società di Thule che fu la “culla intellettuale” del nazismo. Ma noi non ci siamo rifatti a tale tradizione. Agarthi (che significa “l’inaccessibile”) è un’entità mistica introdotta in Europa nel XIX° secolo da W.G. Emerson (ossia Willis George Emerson, una specie di scrittore statunitense del fantastico nato nel 1856 e morto nel 1918. Nda Claustrofbia) che divulgò delle credenze buddiste e in generale centro asiatiche. Si ricollega all’antica idea della Terra Cava (secondo quest’idea, l’interno della Terra sarebbe cavo, e di conseguenza abitato o abitabile. Nda Claustrofobia). Oggi sappiamo che non esiste niente del genere però molti studiosi ci credevano. Per esempio, c’è un ritratto di Halley (allievo di Newton e osservatore dell’omonima cometa) dove ha in mano una mappa della Terra Cava.

3)      Vuoi spiegare il senso della frase “Il basso è l’alto e l’abisso è la via” contenuta nel pezzo di chiusura, cioè “Agarthi”?

È un gioco di parole enfatizzato dall’allitterazione basso/abisso. Giungere ad Agarthi significa elevare la propria mente ma per arrivarci bisogna andare in basso. È una sfida a contraddire il senso comune.

4)      Cos’è l’Ars Goetia e a cosa serve?

L’Ars Goetia è l’arte di evocare i démoni. Si narra che un maestro di tale pratica fosse Re Salomone. Molti testi di evocazione demonica del XVI/XVII° secolo si chiamano “Goezie”. Il protagonista del concept comincia a studiarla per passare da soggetto passivo della realtà a soggetto attivo e padrone di ciò che lo circonda (“sono io l’attore che domina la realtà/non inerte spettatore di questa fatalità”).

5)      I vostri nomi d’arte sono i nomi di demoni “minori”. Per quali motivi vi identificate proprio in essi? Non credo che li usiate soltanto per rispettare la tradizione del metal estremo…

Io ho adottato il nome di Haiwas perché, oltre a essere eufonico, è il nome del demone messaggero che rivela segreti a chi lo evoca e aiuta il mago a risolvere problemi legati ai riti, all’alchimia eccetera. Mi sembrava un bel nome per un cantante. Gli altri trovarono l’idea interessante e assunsero un nome di demone con caratteristiche in cui si rispecchiavano o che trovavano interessanti.

6)      Qual è il significato della copertina dell’album, con particolare riferimento a quei 3 segni e a quei 3 “pianeti” blu in essa raffigurati? Perchè domina così tanto il numero 3?

Non sono pianeti, sono i simboli esoterici delle tre città perdute. I cerchi concentrici sono la mappa di Atlantide, l’enneagramma è Agarthi e la ruota è Thule. Il riferimento al 3 non è voluto, ma I Trionfi più Grandi è piena di riferimenti alla numerologia e alla cartomanzia che chiariscono il significato del brano. Purtroppo, nessuno li ha mai notati penso.

7)      Oltre alla Blavatsky, quali sono le vostre ispirazioni principali in ambito occultistico/esoterico? Inoltre, considerando che i tuoi testi sono anche abbastanza poetici, c’è qualche poeta che ti ha influenzato?

La Blavatsky fu un gigante nel suo ambito. La Teosofia e il suo Spiritismo altro non sono che dottrine orientali millenarie che lei ha scoperto e predicato in Europa. Penso che abbia avuto anche una funzione culturale. Come gli Umanisti hanno tramandato il sapere classico, lei e altri ci hanno portato una parte della spiritualità buddista. Un altro punto di riferimento è Crowley. Questo autore viene venduto come un inventore del satanismo ma è una stupidaggine. Io lo vedo più come un anarchico. Ci voleva coraggio a fare orge, predicare il libero erotismo e a vestirsi da donna nell’Inghilterra proibizionista. Satana per lui rappresenta l’anticonformista che spazza via la morale dominante spesso ipocrita e corrotta. Non mi sembra un concetto brutto e, in ogni caso, pericoloso.
Per quanto riguarda i poeti sono molto legato a Dante e Leopardi tra gli italiani e a Coleridge e Blake tra gli inglesi. Non disdegno nemmeno i tedeschi come Goethe. In generale, la poesia del CD vuole interrogarsi sul senso intimo degli eventi che ci circondano e sul futuro. La canzone chiave è “Thule” e in particolare i versi “anche il male è parte di un disegno / o siamo tutti perduti nella stessa menzogna?”. Cioè, se il male che ci circonda non ha un senso ultimo allora vuol dire che il mondo è anarchico e privo di qualunque filo logico. Però, le religioni, tutte le religioni, cercano di negare questo. Se il male e la morte possono essere ricondotte in un disegno più ampio e coerente, allora siamo meno angosciati. Si risponderebbe anche a domande più generali di ordine logico del tipo “perché una cosa è andata così fra le 1000 alternative che c’erano? È stata la provvidenza? Una legge fisica?” Ma se diciamo che non c’è niente di tutto ciò, per davvero, allora non c’è né ordine né senso ma solo probabilità. Ciò che ci circonda diventa più vero ma anche più angosciante. Se mi muore un figlio perché la provvidenza ha voluto così magari me ne faccio una ragione ma se è l’anarchia casuale che l’ha voluto, beh, mi incazzo! Quindi se il male non fa parte di un disegno siamo tutti parte della stessa bugia e cioè che tutte le cose, specialmente le peggiori, abbiano un senso, per quanto recondito sia, mentre non è così e siamo sostanzialmente persi.   

8)      L’italiano, nel death metal, non è una lingua così frequente, anzi, è quasi assente. Quindi, perché avete scelto di cantare in madrelingua? C’è magari anche qualche motivo “politico”?

Diciamo che c’è un motivo politico in senso lato. Non riteniamo che il metal estremo si possa cantare solo in inglese. Molte band di madrelingua cantano stupidaggini ridicole che tanto non capiamo e quindi cantiamo a squarciagola nei festival. Vale anche l’opposto, ho fatto ascoltare ad amici americani delle band italiane cantare in inglese. Questi si sono messi a ridere perché cantano cose completamente sbagliate. Noi volevamo far sì che i testi fossero importanti tanto quanto la musica. Per fare ciò, serve che il cantato sia nella nostra lingua madre. Non abbiamo mai avuto problemi. Il cantato è questione di metrica e la metrica c’è in Inglese e in Italiano. Se il problema sono i contenuti, beh, si possono dire scemenze in tutte le lingue del mondo, quindi una vale l’altra. Se invece si hanno idee più “ambiziose” è meglio cantare nella propria lingua madre e assumersi la responsabilità.

9)      Okay, quest’intervista un po’ sui generis sta finendo, ti è piaciuta? Adesso può dire tutto ciò che vi pare.

Ti voglio ringraziare per aver fatto attenzione ai testi che sono generalmente una parte del nostro CD che viene trascurata. Invito tutti i lettori ad ascoltare la nostra musica, i nostri testi e a commentare sulla nostra pagina Facebook “Veratrum”. Siamo aperti alla discussione! Per rimanere aggiornati sui nostri live e sulla nostra attività, potete visitare, per l’appunto, la pagina Facebook e la pagina Reverbnation (www.reverbnation.com/veratrumdeath).
A PRESTO!!!

Thursday, September 5, 2013

Fosch - "Ghèra Ona Oltà" (2013)

Album (Natura Morta Edizioni, Aprile 2013)

Formazione (2004):  Buri – voce;
                                   Pagà – chitarra;
                                   Gott – chitarra;
                                   Mustus – basso;
                                   Piccinel – batteria.

Località:                    Bergamo, Lombardia.

Pezzo migliore dell’album:

“Stöf”.

Punto di forza del gruppo:

la sua semplice varietà.

C’era una volta un redattore che recensì una bella ristampa black metal, cioè “Darkness My Eternal Bride” dei Mortifier, pur essendo questa uscita immediatamente dopo il secondo album dei Fosch, confermando così ancora una volta il caos inenarrabile che si aggirava minaccioso nella sua mente. Quindi, il nostro cercò di giustificare un tale casino dicendo che la ristampa ce l’aveva originale, mentre l’album no, un modo per dire che gli originali avevano (solitamente ma anche no) la precedenza. Ma nella sua mente aleggiava ora un altro pensiero, o meglio, stava osservando che in quel periodo – Estate 2013 – la sua ‘zine fu letteralmente invasa dai gruppi black metal, l’uno meglio dell’altro, nonostante la stagione tutt’altro che invernale. Tra Black Faith, Macabre Enslaver, Infamous e gli stessi Mortifier c’era di che scegliere. E ora, toh, c’era da scrivere qualcosa su “Ghèra Öna Öltà” dei Fosch, che aggiungevano ancor più eccentricità a questa serie di gruppi… e al black metal in generale.

Infatti, i Fosch (che erano formati da 3/5 dei Veratrum, già recensiti dal redattore di cui sopra parecchi mesi addietro) cantavano nientepopodimeno che in bergamasco (un dialetto italiano dell’epoca), ispirando di conseguenza il loro stesso nome (o moniker che dir si voglia), che significava all’incirca “oscuro”. Eppure, musicalmente erano tutto fuorchè eccentrici essendo molto radicati nella tradizione, come andava in voga negli anni ’10 del 21° secolo. In pratica, vomitavano un black metal semplice semplice, con nessun assolo di chitarra (anzi, la chitarra “solista” veniva sì utilizzata - e raramente - ma suonava quasi sempre le stesse cose della ritmica solo su tonalità più alte) ma con una buona alternanza fra i tempi veloci (fra cui tupa – tupa inferociti) e quelli medio – lenti, offrendo così una buona varietà ritmica. In più, il gruppo sapeva come rendere più cattiva e “ignorante” la propria musica sconfinando a tratti in certe soluzioni più tipiche persino del black/death bestiale (come in “Ol Rossàl” o in un tempo medio molto a là Blasphemy presente nell’introduzione di “Ol Serpent dèla Còrna Rósa”).

Ma le influenze death si facevano vive più che altro nel comparto vocale. Questo risultava caratterizzato da un ottimo bilanciamento fra grugniti cupi e urla folli a là Belketre, ed entrambi i vocalizzi si presentavano un po’ “affossati” a causa della produzione, sporca ma comunque chiara e “vera”. Inoltre, in “I Sàcoi del Diàol” compariva addirittura una bella voce pulita e melodica.

Ma l’assalto dei Fosch era spesso così semplice da essere un filino difficile da digerire, almeno per quanto riguardava la struttura dei pezzi. I quali erano basati di solito su classici (almeno al tempo…) botta e risposta 1 – 2 che potevano essere ripetuti anche per 3 volte di fila (come nelle primissime due canzoni). Come se non bastasse, il gruppo era solito dilatare una stessa soluzione anche per 2 minuti, pur sapendo bene come variarla, sia attraverso cambi di tempo che quasi a livello subliminale (come nel finale di “Al Parlàa Cói Mórcc”, risolta splendidamente dalla sola batteria, con i suoi inizialmente elaborati e poi sempre più minimalisti uno – due). Per fortuna, a offrire un po’ più di dinamicità ci pensavano gli stacchi, che erano particolarmente importanti per il gruppo, anche perché alcuni di essi erano belli “ignoranti” e violenti. Però certo, non sempre i Fosch riuscivano a concludere bene una canzone, magari sviluppando poco bene la parte centrale (come in “L’Òm di Sèt Capèi”, da menzionare anche per una sua pausa con tanto di sintetizzatori imitanti il flauto) e/o proponendo cambi di tempo e di atmosfera troppo forzati che finivano sempre nel ritorno alle due soluzioni principali (come in “Ol Serpent dèla Còrna Rósa”).

Ritornando ai pregi, i Fosch sapevano dare sufficiente personalità alle varie canzoni, destreggiandosi così dalle parti doom di “La Cà Spérecc” a quelle acustiche di “I Sàcoi del Diàol”, per finire con la finale “Stöf”, sicuramente il pezzo più violento, vario e convincente del lotto, e che il redattore vide come brano di riferimento per le produzione future di questi bergamaschi.

C’era una volta (che, detto per inciso, è la traduzione letterale del titolo dell'album) un misterioso gruppo chiamato Fosch che, evocando le leggende della propria terra, fece una buona figura su una webzine brutta e pestilenziale conosciuta come Timpani allo Spiedo, anche perché “Ghèra Öna Öltà” era un disco che durava poco più di mezz’ora per soli 7 pezzi, facendosi quindi ascoltare con buona fluidità. E così, il redattore che si trovò a recensirlo concluse l’articolo con le seguenti lusinghiere parole:

“Adesso, cari miei, non rompetemi più le palle chiedendomi altre delucidazioni circa la musica dei Fosch che ora passo il processo di martellamento genitale a loro e alla Natura Morta Edizioni, che saranno ben lieti di ricompensarvi con la giusta moneta”.

Morale della favola:

un fottìo di squilibrati metallari dispersi nel lontano pianeta Terra, ormai caduto in rovina, comprarono con fervido entusiasmo mistico “Ghèra Öna Öltà”…

Voto: 79

Flavio “Claustrofobia” Adducci (da un reperto archeologico di millenni fa miracolosamente trovato da esperti musicologi appassionati di quella musica strana chiamata “heavy metal”)

Scaletta:

1 – Ol Rossàl/ 2 – La Cà di Spérecc/ 3 – Al Parlàa Cói Mórcc/ 4 – I Sàcoi del Diàaol/ 5 – L’Òm di Set Capèi/ 6 – Ol Serpènt Dèla Còrna Rósa”/ 7 – Stöf

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