Sunday, June 30, 2013

Eco del Baratro - "Azione" (2013)

Album autoprodotto (Aprile 2013)

Formazione (2004):   Stefano Nicolini – voce/chitarra;
                                   Francesco Armani – basso/voce;
                                   Dennis Valenti – batteria.

Località:                     Pieve di Bovo (Trento), Trentino Alto – Adige.

Canzone migliore dell’album:

“Carcassa Silente”.

Punto di forza del disco:

la sua devastante e fantasiosa follia.


Qualche anno fa comprai in una libreria Feltrinelli uno dei libri musicali più profondi che io abbia mai letto, cioè “Post – Punk: 1978 – 1984” del giornalista inglese Simon Reynolds, un mattone di circa 700 pagine che non dà spazio soltanto alla musica ma anche ai testi e allo stile di vita dei moltissimi gruppi da lui affrontati. E fra di essi figurano i Gang of Four, banda britannica fra le più influenti in circolazione (fra i tanti, ha ispirato addirittura i Red Hot Chili Peppers). Non a caso, sembra che anche gli Eco del Baratro, al secondo album dopo quello di debutto di 2 anni fa, risentano della loro influenza (però nelle loro influenze principali i 4 di Leeds non ci sono affatto), seppur declinata in una maniera parecchio personale e pesante. Fra l’altro, con un gruppo simile, Timpani allo Spiedo allarga notevolmente il proprio raggio d’azione, recensendo per la prima volta un disco post – punk. Che poi io non sia molto d’accordo nell’usare il prefisso “post” (dopo che cosa, se il punk puro non è morto, tanto che si fa la logica distinzione fra quello vecchia scuola e quello moderno implicando così che una sua evoluzione vera ci sia stata?) è tutta un’altra storia.

Passando a cose serie, “Azione” consta di 10 pezzi per circa 35 minuti di delirio sonico. La musica è nervosa e scarna, risulta caratterizzata da una chitarra (nessuna sovraincisione, mentre gli assoli sono totalmente banditi) che più che sputare riffs vomita rasoiate saltellanti e ritmiche visto che spesso è il basso ad assumere in sua vece un ruolo melodico. La batteria invece si diverte a far impazzire l’ascoltatore creando ritmi contorti e particolari, seppur non disdegni partiture più lineari e/o groovy se non persino belle veloci come il punk/HC comanda (come in “Testa di Cane” o “Carcassa Silente”). Poi, c’è l’eccellente comparto vocale, un intreccio di voci e coretti molto espressivo e vario capace di adattarsi perfettamente al tono delle canzoni ma anche di completarlo alla grande, come nei lamenti quasi infantili di “Testa di Cane” o nei vocalizzi visionari di “Carcassa Silente”. Ah, ovviamente ricordo che le voci sono pulite, e i ritornelli sono spesso e volentieri ben cantabili… anche sotto la doccia, se volete.

La struttura delle canzoni si dimostra veramente ma veramente ostica visto che i nostri amano essere ossessivi a 360° gradi, sia mantenendo lo stesso tempo per tutto un pezzo, sia ripetendo fin quasi allo stremo piccoli schemi 1 – 2, e lo si fa pure con un singolo passaggio (quest’ultimo caso avviene solitamente nei momenti finali di un brano). In pratica, la struttura è di tipo sequenziale e paranoica. Inoltre, può capitare che la chitarra proponga delle variazioni, semplici e brevi, della propria melodia principale, quasi come se fossero degli assoli, riuscendo così splendidamente a dare ariosità ai pezzi.

Un’altra ottima caratteristica dell’album proviene dalla differenziazione, anche umorale, fra i vari brani. Si passa così dai toni beffardi e quasi giocosi di “Nuovo Giorno” alle agghiaccianti “Carcassa Silente” e “Il Nemico Sbagliato” e al taglio malinconico/melodico di “Sull’Erba”, pezzo che alla fine diventa bello veloce. Fra l’altro, devo dire di aver colto qualche differenza fra la prima e la seconda parte del disco, dato che l’una è più lineare, “groovy” e veloce, mentre l’altra possiede toni più scuri, ritmi più spezzettati e contorti (quindi più lenti) e una follia più accentuata del solito (sentitevi “Il Nemico Sbagliato” e poi ditemi).

Ecco, l’unico difetto, più formale che sostanziale a dire il vero, dell’album viene proprio dalla distribuzione dei pezzi, che a poco a poco diventano sempre più difficili (e geniali) da seguire. Quindi, credo che un bilanciamento più marcato fra le due parti sarebbe servito per far fiatare meglio l’ascoltatore, magari mettendo la 3° canzone, cioè “Divisione”, che è perlopiù veloce, fra le ultime.

In definitiva, “Azione”, è un signor album, con tanto di produzione limpida e secca, testi ermetici, un coraggio notevole nel sapere osare (e giocare) anche con i suoni (infatti – dimenticavo! – qua e là c’è una specie di effetto elettronico che spesso assomiglia a uno scacciapensieri posseduto… e ho l’impressione che sia il basso… o no?), e una follia malata che potrebbe competere tranquillamente con quella dei migliori Vlad Tepes, Bestial Warlust, Voivod, Meshuggah e compagnia metal varia. E’ veramente difficile volere di più, non credete?

Voto: 90

Flavio “Claustrofobia” Adducci

Scaletta:

1 – Nuovo Giorno/ 2 – Testa di Cane/ 3 – Divisione/ 4 – Sballata/ 5 – Muse d’Acqua/ 6 – Carcassa Silente/ 7 – Il Nemico Sbagliato/ 8 – Sull’Erba/ 9 – Gioia Eterna/ 10 – 10 Secondi di Stupore

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Thursday, June 27, 2013

Bifrost - "Dance of the Evanescent" (2013)

EP (Salatino Productions, 20 Aprile 2013)

Formazione (2004):  Mario de Vito – chitarra ritmica/voce;
                                  Alessandro Nespoli – chitarra solista/voce;
                                  Francesco Dragoni – basso/voce;
                                  Francesco De Meo – batteria/voce.

Località:                    Foggia, Puglia.

Canzone migliore del disco:

“Ashes of an Endless Embrace”.

Punto di forza dell’opera:

Il comparto chitarre.
Copertina: Valerio Salatino

  Dopo i russo/svedesi Wall of the Eyeless (che vi raccomando di ascoltare), oggi vi parlo di un altro gruppo di metal estremo progressivo, cioè  Bifröst (attenti a quella “o”!), che con questo “Dance of the Evanescent” sono arrivati al terzo EP della loro carriera (stranamente, l’album di debutto deve ancora arrivare nonostante esistano da ben 9 anni). Ogni volta che mi tocca ascoltare/recensire una banda del genere la mia faccia si contorce in sorrisi veramente ebeti, visto che il metal estremo progressivo, così avvolgente e istrionico, è uno dei miei generi preferiti, insieme, paradossalmente, al black/death metal bestiale, che è al contrario così istintivo e furioso. Ma stavolta ho un po’ di dubbi da sollevare, come si vedrà fra poco.

“Dance of the Evanescent” è composto di 5 pezzi (ma l’eccellente “Song of the Ancient’s Fate” è “semplicemente” un intermezzo acustico) per quasi 23 minuti di musica. In questo arco di tempo, i Bifröst interpretano il loro genere in maniera un po’ particolare, seppur seguendo le sue caratteristiche principali come l’alternanza fra voci pulite e grugniti, melodia a profusione, frequenti assoli di chitarra e prevalenza dei tempi medi, che qui si fa invece praticamente totale, a parte qualche (rarissimo) passaggio più veloce del solito.

Per prima cosa, bisogna dire che il comparto vocale risulta curiosamente sbilanciato sulle voci pulite, che talvolta assumono toni malinconici e un po’ psichedelici come nei più oscuri Wall of the Eyeless (in tal caso, “Drops” è un perfetto esempio di ciò). I grugniti invece sono veri protagonisti nella sola “Ashes of an Endless Embrace”, mentre nella finale “Ambivalence” dividono il ruolo con i vocalizzi puliti. E questo è un peccato, perché i grugniti sono molto profondi e sanno anche essere belli cattivi. Come se non bastasse, “Dance of the Evanescent” è un pesce fuor d’acqua, anche perché qui si usa una voce sì aggressiva ma più vicina agli stilemi del new metal. Però, l’ho trovata fuori contesto, per niente malata e folle come il resto della canzone, ed è pure abbastanza ripetitiva e martellante.

Come seconda cosa, c’è da osservare il carattere stranamente poco estremo dei Bifröst. Per esempio, il death metal è praticamente assente, seppur loro si autodefiniscano come death psichedelico, mentre soltanto la già citata titletrack (che è da considerarsi un esperimento voivodiano) potrebbe essere definita estrema (a parte per la voce, com’è ovvio) avendo un riffing contorto e malato e un lungo finale doom. Poi, ci sarebbe anche “Ambivalence”, che ha una prima parte (intitolata "The Last to Be Destroyed") veramente incazzata e dai richiami addirittura black. Il problema è che, come dire?, la canzone si tranquillizza alla grande durante tutta la seconda parte, che invece si intitola "... Future, All of a Sudden". Per il resto, nell’album si fa frequente uso delle chitarre acustiche disegnando così paesaggi dark, mentre c’è perfino un po’ di blues hendrixiano (“Ashes of an Endless Embrace”), un assolo arabeggiante (“Drops”) e certe volte le chitarre hanno un suono molto da rock britannico.

Come terza e ultima cosa, c’è da parlare della struttura delle canzoni, che risulta essere abbastanza varia, pur essendo decisamente più essenziale rispetto a quella degli Ammonal o dei miei conterranei Disease. Si passa così dalla sequenziale ma non troppo titletrack ai perenni pieni – vuoti di “Ashes of an Endless Embrace” e alle dissociate “Drops” e “Ambivalence”. Ora, perché questi due ultimi pezzi dovrebbero essere “dissociati”? Perché entrambe hanno uno schema simile basato su una prima parte semplice e classica, mentre nella seconda parte prendono il largo sfogandosi del tutto secondo un graduale e alle volte ossessivo accumulo di tensione che funziona benissimo, anche emotivamente parlando. L’unico problema è che queste due parti sono sistematicamente slegate fra di loro da ogni punto di vista, specie da quello melodico/atmosferico. Quindi, sembra quasi di sentire due canzoni in una, solo che la prima non viene sviluppata bene, ma l’altra sì.


Insomma, i Bifröst hanno buone e interessanti idee, ma purtroppo hanno la tendenza a disperderle e a curare addirittura solo certi punti di una determinata canzone, e questo è un difetto veramente poco comune. Per la prossima volta, consiglio di sviluppare meglio il lato emotivo e ossessivo della propria proposta, ben esplicato nelle seconde parti dei brani sopradescritti, e al contempo di estremizzarla ancora di più, come succede in “Ambivalence”. Sessanta fiducioso.

Voto: 60

Flavio “Claustrofobia” Adducci

Scaletta:

1 – Dance of the Evanescent/ 2 – Drops/ 3 – Ashes of an Endless Embrace/ 4 – Song of the Ancient’s Fate/ 5 – Ambivalence

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Monday, June 24, 2013

Goatfuck - "Worth Only Buried" (2013)

EP autoprodotto (12 Aprile 2013)

Formazione (2012):          Goatfucker II – voce;
                                          Goatfucker I – chitarre/basso.
                                  
Località:                            Cagliari, Sardegna.

Miglior pezzo del disco:

“Beyond”.

Punto di forza del gruppo:

il comparto vocale.
 Gøatfuck - Worth Only Buried
Cover artwork: D.M.

Allora, vediamo un po’: che cosa hanno in comune VIII, Solitvdo, Crowned in Thorns, Goatfuck e Infamous? Forse il fatto di essere più o meno tutti gruppi black metal provenienti dalla Sardegna? Beh sì, ma c’è dell’altro: i primi 4 hanno come protagonista il cosiddetto Herr 413, mentre nell’ultimo EP degli Infamous (che prossimamente verrà recensito proprio da queste parti) lui ha prestato “semplicemente” la propria voce (pulita). Tutto ciò mi sta portando a farmi credere che la scena estrema sarda sia composta più che altro dal solo Herr 413 (che nei Goatfuck si fa chiamare invece Goatfucker 1), perché è incredibile la sua iperattività e la sua fantasia nel creare sistematicamente suoni sempre interessanti e anche di buona qualità. Ma anche il suo collega, Goatfucker II (meglio conosciuto come WLKN), ha un curriculum di tutto rispetto visto che, oltre ad aver suonato anche lui nei Crowned in Thorns, attualmente è nei ranghi sia dei Cold Empire (raccomandatissimi!) che dei Simulacro. Ecco perché i Goatfuck meritano così tanto!

“Worth Only Buried” rappresenta la loro prima uscita, dura 17 minuti circa per 4 pezzi, e la musica è sostanzialmente un death metal cupo ma allo stesso tempo contaminato da altri generi diversi,, come il black metal (specialmente in “Beyond”), il thrash (almeno per quanto riguarda il riffing) e il brutal (“Goat Raped Corpse”), più un pacco di doom. Quest’ultimo lo si avverte soprattutto nei momenti finali (o quasi) di ogni pezzo.

La cupezza dei Goatfuck viene accentuata alla grande dal comparto vocale, che è di base un grugnito molto basso e cavernoso, e che quando viene doppiato assume toni più spettrali, mentre non si disdegna qualche (rarissimo) urlo bello torturato, come nella pausa di “Goat Raped Corpse”, e neanche una voce pulita semi – parlata in “Beyond”. Ma pure la chitarra solista concorre a rendere più tenebroso il tutto, grazie ai suoi assoli, uno per canzone, specialmente nelle prime due del disco.

L’atmosfera viene però alleggerita non soltanto attraverso la commistione di generi e i buoni cambi di tempo, ma anche grazie a un sacco di groove che permea tutta opera. In questo senso, primeggiano soprattutto le ultime due canzoni, che praticamente sono basate più sui tempi medi, pur non disprezzando lo stesso certi blast – beats e tupa – tupa di una violenza incredibilmente esagitata, nonostante l’uso di una drum – machine.

Ma devo dire che la batteria elettronica rappresenta un vero punto debole della produzione. Ciò è dovuto a 2 motivi principali:

-          il primo è che essa sembra avere più una funzione da sottofondo, avendo un suono veramente poco incisivo e palesemente “finto”, e per inciso, mi ricorda quello di “Dunkel Hexenkunst”, album di debutto del solo – progetto black spagnolo Cursed Scrolls;

-          il secondo è che certi passaggi non vengono sufficientemente enfatizzati dalla batteria, come in “Beyond”, dove si rivela troppo statica, seppur la qualità del riffing e il groove spesso compensino questa sua mancanza.

Invece, la struttura delle canzoni è semplice, pur non seguendo esattamente uno schema a strofa – ritornello. Semmai, ci sono volentieri delle mini – sequenze 1 – 2 o 1 – 2- 3 che vengono rigorosamente rispettate e ripetute per le classiche 2 volte. Spesso, queste sequenze sono dominate in maniera ossessiva da uno stesso riff, solo variato un poco e dinamicizzato da qualche consistente cambio di tempo. Inoltre, curiosamente le ultime due canzoni, oltre a differenziarsi dalle prime due per l’assenza della chitarra solista e la prevalenza dei tempi medi, hanno un finale praticamente aperto. Si menzioni in particolare quello di “Goat Raped Corpse”, che, dopo una pausa, si “conclude” attraverso un tempo doom in dissolvenza.

Peccato però che l’ultimo pezzo, “Pissing Into the Useless Brain of a Dead Whore”, deluda non poco, anche perché finisce praticamente all’improvviso, in un modo non molto strategico. Il finale aperto della precedente “Goat Raped Corpse” è sensato, così da introdurre il bagno di sangue della successiva canzone, ma questo bagno di sangue non succede, se non per circa un minuto pieno di blast – beats incarogniti. In sostanza, avrei messo come pezzo finale il secondo, “Beyond”, che nel finale conta addirittura una breve marcia militare.

Per il resto, il gruppo talvolta fa uso di piccoli passaggi atmosferici, e anche di sequenze parlate pre – registrate. Infine, la produzione è veramente buona, con tanto di basso in evidenza.

Però, per la prossima volta consiglio ai ragazzi di concentrarsi di più sui tempi ultra – veloci perché è proprio in questi momenti che viene dato il meglio di sé. E poi, un batterista in carne e ossa e più assoli non sarebbero affatto male, non trovate?

Voto: 71

Flavio “Claustrofobia” Adducci

Scaletta:

1 – Not Enough… Zyklon B/ 2 – Beyond/ 3 – Goat Raped Corpse/ 4 – Pissing Into the Useless Brain of a Dead Whore

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Saturday, June 22, 2013

Azure Emote - "The Gravity of Impermanence" (2013)

Full – length album (Selfmadegod Records, April 3rd 2013)

Line – up (2003):       Mike Hrubovcak – vocals/keyboards/electronics/samples/harmonica/programming;
                                   Ryan Moll – guitars;
                                   Kelly Conlon – bass (session);
                                   Mike Heller – drums.

Guests:                       

Melissa Ferlaak Koch – vocals (tracks 3, 8, 10)
Sandra Laureano – vocals;
J.J. Hrubovcak – second guitar solo (track 5)
Jonah Weingarten – keyboard solos (tracks 1, 7, 12)
Jason Ian – Vaughn Eckert – additional electronic programming (tracks 10, 13, 14)
Pete Johansen – violin, electric violin
Bruce Lamont – saxophone (tracks 8, 9)

Location:                    Philadelphia, Pennsylvania (USA).

Better song of the album:

“Annunaki Illuminati”.

Better feature of the band:

Its capacity to surprise the listener in very different ways.
 Azure Emote - The Gravity of Impermanence
Cover artwork: Mike Hrubovcak

Lovers of the strange stuff, unite! After their debut album of 6 years ago, the second one of the Azure Emote has arrived! What they have created is really something ambitious, not only for their music but also because this CD has the incredible length of one hour circa per 14 tracks (two of them are non – metal instrumentals, that are the animalist “Sunrise Slaughter” and the industrial “Patholysis”). So, you must prepare very well before listening it because every song hide at least a remarkable surprise.

But what’s the music of the Azure Emote? Do you have in your mind the Cynic? Well done, you’ve got it right, the Azure Emote plays avant-garde death metal, also if the death metal is shelved in some songs, like in “Carpe Diem”, a 7 – minutes’ tour de force with a gothic and dreamful atmosphere. Besides this, the band prefers the mid – tempos, also if they propose at times some blast – beats, while in other cases there are more doom passages, as in the first part of “The Living Spiral”. In brief, the only and constantly death metal element of the music is the vocals of Hrubovcak, a classical and dynamic enough growl complete with (rare) devastating screams.

Curiously, the solos have a good importance in the music but they are the prerogative of instruments unusual for the extreme metal like the violin (protagonist of very long soloist eruptions; in this way, its noisy and closing performance in “Puppet Deities” is memorable) or the keyboards (their arabesques in “Annunaki Illuminati” are their expressive climax). Hence, the solos of electric guitar are very few, and there are also the sax solos!

The nice thing of this album is its incredible variety throughout. So, it ranges from the electronic metal with opera vocals and violins of “Veils of Looming Despair” to the black metal passages of “Dissent”, from the contagious groove of “Destroyer of Suffering” to the very cold and complex “The Colour of Blood”, and still from the soft “Carpe Diem” to the strange melodic death metal of “Conduit of Atrophy”. I must say to prefer the more metal songs, or simply the songs with a more “human” length. By the way, I realized that the first part of the album contains more experimental and very long songs, while the second one has the better songs due also to their more aggressive way than the first tracks.

Another bizarre aspect of the album comes from the songs’ structure, that is often sequencial and not so difficult to memorize, despite the complexity of the music. For example, the band tend to repeat again the same musical solution after few seconds playing it the first time, as in “The Living Spiral”, but so the music appears in a very mechanical way. In other cases, some songs are really prolix, like “Carpe Diem”, that repeats the same things all over the place, and it hasn’t a sufficient wickedness. Instead, songs like “Dissent” (that is a real call to arms at a certain point) and “Epoch of De – Evolution” (an industrial death metal track) have a remarkable wickedness. Besides all this, the band tend to insert here and there in the album some speaking sequences, that can be also pre-recorded.
 Azure Emote - Photo
All in all, “The Gravity of Impermanence” is one of those eccentric album that need to be listened again and again to be really appreciate. In the beginning, I’ve found the Azure Emote as a boring and pretentious band, also because the album’s production is very clean and clear. Then, I’ve understood their logic and their ability to show a good homogeneity, except some sui generis songs like “Carpe Diem”. So, this album is a reasonable experiment, showing also the courage of some artists like Mike Hrubovcak, better known for his militancy in old – school death metal acts like Monstrosity or Vile.

Vote: 76

Flavio “Claustrofobia” Adducci

Tracklist:

1 – Epoch of De – Evolution/ 2 – Carpe Diem/ 3 – Marching Forth/ 4 – Sunrise Slaughter/ 5 – Conduit of Atrophy/ 6 – Veils of Looming Despair/ 7 – Dissent/ 8 - The Living Spiral/ 9 – Obsessive Time Directive/ 10 – Patholysis/ 11 – Destroyer of Suffering/ 12 – Annunaki Illuminati/ 13 – The Colour of Blood/ 14 – Puppet Deities

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Friday, June 14, 2013

Interview to the Dormant Ordeal!

Hi guys,
here you are this interesting interview with the Polish death metal band Dormant Ordeal. My interlocutors are Maciej Nieścioruk and Radek Kowal, respectively guitarist and drummer of the band.

ENJOY THE FUCKIN' READ!
1) Hi guys, how are you? Do you want to present you to the readers of Timpani allo Spiedo?

M: Hello, thank you for the opportunity to introduce our band to readers of your website, we appreciate it. We're death metal band from Poland and just few months ago we've released our debut album 'It Rains, It Pours'.

R: Hello, there is a big plausibility that our name says nothing to the most of the readers so let me invite all of them to enter our BandCamp and start listening to the debut album while reading this interview. Once again thank you for your interest, and it’s a great pleasure to come into being on Timpani allo Spiedo webzine. 

2) How was recording your debut album? Did you learned something from these sessions?
 M: Recording went smooth and fast, except for the delay between individual sessions due to our personal obligations. Actually whole process took about two weeks in a two month-long period. Our friend, Lech Leśniewski, managed it very well, turning our rehearsal room into a temporary studio. Few months later, album went straight to Progresja Studio in Warsaw where Paweł "Janos" Grabowski handled mixing and mastering duties. I may only speak for myself, but actually I don't think I learned that much. I mean I was well prepared and most guitar parts were recorded in 3 takes tops. This way we could capture the wild intensity of those riffs that I believe are pretty essential for this album.
R: In my case it was a little bit different. According to my experience I can say that each recording session, whether it’s a recording of a demo, promo or professional full-length album, is a great lesson of lowliness. The IRIP recording session gave me a lot of kicks straight into my ass and teached all of the points I should be focused on during preparation and recording. It’s all about gaining experience and there is always something you should be working on. The recording session will point it with no mercy.
3) I must say that, according to your look, I expected a melodic death metal album; instead, you destroys like few ones shooting also an excellent inventiveness. What's the thing that push you to search always the surprise factor in every song?
 M: We're not the kind of band that care much about this so-called metal look. You may try really hard to be the most evil looking band on Earth, but in the end it's all about music. I don't really need to have long hair and tattoos for you to notice I'm a metalhead, just listen to our music and figure it out for yourself. As a main composer of this album, I'm trying to extract this fury I'm struggling inside and turn it into the best song possible. Surprise factor, as you called it, is important, but all those hooks weren't put there on purpose. It's more of a natural approach when I compose new music.
4) I perceived that the album is divided between two very distinct parts: the first one is very violent, while the second half is more reasoned, blacker and with longer songs. Did you composed them in two different periods? Do you think to follow the directives of the last songs for the future productions?
M: It's kind of a funny story because it's not the first time someone notices it. Honestly, that wasn't our intention at all. We were discussing tracklist details with utmost attention, but only to give the listener the best listening experience. All songs that ended up on the record were written in the last five years in an order completely unrelated to final tracklist. Now as you mentioned the future, it's true that second part of this album, last three songs in particular, sets the direction in which we're drifting towards.
5) Do you want to describe your lyrical themes, maybe mentioning the possible inspirations (philosophers, movies, books etc)?
 M: In general, lyrics on "It Rains, It Pours" deal with problems of a modern human and society he lives in. Those aren't positive conclusions, there's a lot of nonsense going on these days. We like to write from the perspective of a distant observer who's being hurt by those actions and whose reaction might redefine the mankind in a blink of an eye. We don't have to put satanic imagery into our songs only to meet some non-written death metal regulations, there's not much left to say on that field.

R: What Maciek says is in fact the general meaning of our lyrics, but we don’t want to be literal. When you are reading our lyrics you can find a lot of parables and tropes to the world of animals and nature itself.  Yes, there is an observer, whom Maciek mention about, and also an energy, a primal and savage fury that people to play with the way an unconscious child plays with a rat.

6) You seems to be very pessimist about the future of the Earth. Is it so really? Why, in case of affirmative answer? Do you think that its degeneration process is now irreversible?
 M: Well, sometimes I do think mankind is the worst thing that has ever happened to this planet. We have our moments, but they're mostly linked to repairing things we broke in the first place. There are so many places in the world where it's hard to survive another day just because someone misinterpreted his own religion. So many people have so many problems about what other people think it's just absurd. I actually gave up reading news 'cause I've noticed it's practically the same old story every single day. 100 killed here, 200 killed there, only numbers change. I don't think process can be reverted, maybe it's just a matter of media coverage when it comes to presenting mostly negative material, but in my opinion it won't get any better.

R: In my case it’s not about the pessimism. I am trying to keep myself on distance from all of these, but being fully conscious at the same time. I do not want to take a part in this madness and I do not want to repeat someone else’s mistakes. Only this way I can guide my life in optimal direction regardless of any tendencies and expectations of the others. When I am planning my own future I feel safe because all is in my own hands. Those fools around are the great teachers for us.

Dormant Ordeal - Photo
7) Now, it's better to talk about happier arguments! Hence, ultimately I am exciting about the extreme Polish metal because for me it is very creative and vital. But, from inside, how is the metallic situation of your country?
 M: I can't say it in terms of overall friendship between bands, but musically Polish scene is really strong and creative. It came to the point you may actually recognize a band from our country without knowing a single thing about them. Perhaps it's a matter of inspiration from such bands like Vader, for example, but people here are really feeling death metal music. Besides obvious titans like Behemoth, Decapitated or Hate, we have many smaller bands that are less known only due to less exposure who truly deserve wider attention.
R: I think it’s all about the latitude…
8) Are you searching for a label for your future productions?

R: I think, yes. There is a limit that we can reach doing everything by ourselves. Actually, according to the opportunities we had just after recording of the debut album, we are sure that our decision was adequate. The good label, theoretically, gives you a better way of distribution, some kind of a brand which is based on its activity and assurance that there is someone else who really cares about your band because of the economical reasons. There is also a question about the artistic impendency and copyrights. I am sure that in case of the next release we’re going to check carefully all of our opportunities and make the best decision for the band.

9) What are your next targets now?
 M: At the moment we're promoting our debut record, released in March this year. Despite obvious daily job obligations, we try to play as many live gigs as possible. In the meantime, we're starting to think about new songs, discussing potential song themes, writing new riffs, but album promotion issues have top priority right now.

R: There is also an additional idea to attract an attention into our release, but there is too early to talk about this widely. Maybe it’s time to add some more image and refine the face of “It Rains, It Pours”? We will see.

10) Okay, the interview is finishing, so now you can conclude it as you want.

M: Thank you for this interview and thanks to all who support our music. And to those who don't know our band yet - look for our debut album "It Rains, It Pours" on the web, it's a free download, give it a spin or two and decide for yourself. Take care!

R: Thank you very much for your support.  

Thursday, June 13, 2013

Tank - "Filth Hounds of Hades" (1982)

Album (Kamaflage Records, Marzo 1982)

Formazione (1980):    Algy Ward – voce/basso;
                                    Peter Brabbs – chitarre;
                                    Mark Brabbs – batteria.

Località:                      Londra, Gran Bretagna.

Miglior pezzo del disco:

la titletrack.

Punto di forza dell’album:

la sua carica sanguigna unita a una varietà sbalorditiva.
 Tank - Filth Hounds of Hades
Cover Artwork: Jo Mirowski/Brett Ewins

Oggi mi va di parlare di uno dei più grandi gruppi dell’NWOBHM, cioè i prolificissimi Tank, che dal 1982 al 1984 riuscirono a pubblicare la bellezza di 4 album. E hanno anche una storia abbastanza particolare e unica, visto che Algy Ward li ha formati dopo aver lasciato i punkettoni Damned (e prim’ancora suonava con i Saints), e questo passato lo si sente molto nella sua nuova creatura. Questa cosa non è veramente da poco, in un periodo nel quale i metallari e i punk si ammazzavano in continuazione appena s’incrociavano lo sguardo.

“Filth Hounds of Hades”, prodotto da Eddie “Fast” Clarke (ha bisogno di presentazioni?) è l’album di debutto dei Tank, è composto da 10 pezzi per 38 minuti di ottima musica. Uno dei suoi maggiori pregi è la sua incredibile varietà, pur rispettando sempre uno stile ben definito e riconoscibile. Quindi, si passa dallo speed metal rockeggiante di “Struck by Lightning” alla led zeppeliniana “Run Like Hell”, dal puro speed metal epico di “Turn Your Head Around” (un pezzo da top ten e di cui è stato fatto anche il video!) alla psichedelica “Who Need Love Songs?” o al blues impazzito della titletrack, altro brano a dir poco leggendario. E fate conto che i Tank sono stati uno dei primissimi gruppi NWOBHM a dare particolare importanza alla velocità, ragion per cui ben 4 sono i pezzi veloci dell’album, magari con tanto di qualche (raro) cambio di tempo.

C’è varietà ma anche molta semplicità. Infatti, ogni canzone si basa su un essenziale schema a strofa/ritornello e obbligatorio assolo nella parte centrale. Ma il tutto non viene suonato in maniera meccanica perché talvolta il gruppo infila quel piccolo particolare che fa la differenza (che sia una variazione del batterista, una linea vocale posseduta, un intermezzo blues dal groove contagioso), quindi non si esagera veramente mai. Eppure, la musica è così ben costruita da creare comunque un’ottima tensione, così immortale da sembrare più complicata di quella dei Dream Theather, e soprattutto così divertente che non ci si stanca mai ad ascoltarla.

Ma un altro pregio dei Tank viene dal comparto vocale, che in ambito NWOBHM è qualcosa di unico. Algy Ward ha una voce che non fa chissà che ma è piena di soul, qualche volta azzarda dei falsetti impazziti come anche vocalizzi più bassi e birraioli completi di ululati (la titletrack è il massimo da questo punto di vista), donando così all’intera musica tutta quella carica e sudore in più che sembra di ascoltare i Tank direttamente in un pub fumoso durante un loro concerto. Questa è magia, solo pochi gruppi ci riescono!

La produzione dell’album è stranamente più pulita e cristallina del solito, e qualche volta il gruppo si diverte con gli effetti, come quello d’eco innestato sulla voce in “Who Needs Love Songs?”, e non dimentichiamoci del lunghissimo assolo psichedelico di “That’s What Dreams Are Made Of”, assolutamente da trip!

Le uniche perplessità che ho riguardano la scaletta del disco. Va bene che esso parte, come da tradizione, con un pezzo veloce (ce l’avevano anche i gruppi meno metal come gli Hammer di “Contract with Hell”), cioè “Shellshock” – che ha un’assurda introduzione tribaleggiante -, in modo da dare subito la giusta spinta all’album. Ma non va proprio bene che anche il brano successivo, “Struck by Lightning”, sia veloce, pur essendo ottimo e molto a là Accept. Però i pezzi veloci già sono pochi, e quindi lasciarli scorrere in maniera così fluida e rapida non è esattamente una saggia decisione, non trovate?
 
Fortunatamente, questi sono solo dettagli perché “Filth Hounds of Hades” è e rimane un capolavoro con i controcojoni che si poggia tutto sull’immediatezza e che non ha bisogno di cose assurde per far parlare di sé (a parte la velocità, s’intende). Fra l’altro, il gruppo riuscì anche a influenzare non pochi gruppi, uno fra i quali i Warfare, altri metallari punkettoni di cui il primissimo album “Pure Filth” venne prodotto nientemeno che dallo stesso Algy Ward. Infine, è abbastanza particolare anche il recente ritorno nelle scene dei Tank, visto che adesso ne esistono addirittura due incarnazioni, entrambe sotto lo stesso nome (e logo): quella solitaria di Algy, che è ritornato proprio quest’anno con “Breathe of the Pit”; e quella capeggiata da Chris Tucker e Cliff Evans (che a un certo punto si aggregarono ai Tank originali durante la metà degli anni ’80), che ha già pubblicato due album dal 2010 a oggi. Insomma, nei Tank non c’è assolutamente niente di normale. Meglio così!

Voto: 89

Flavio "Claustrofobia" Adducci

Scaletta:

1 – Shellshock/ 2 – Struck by Lightning/ 3 – Run Like Hell/ 4 – Blood, Guts and Beer/ 5 – That’s What Dreams Are Made Of/ 6 – Turn Your Head Around/ 7 – Heavy Artillery/ 8 – Who Needs Love Songs?/ 9 – Filth Hounds of Hades/ 10 – (He Fell in Love with a) Stormtrooper

Sito ufficiale (Tucker’s and Evans’ Tank):


Sito ufficiale (Ward’s Tank):

http://www.tankfilthhounds.net/

Wall of the Eyeless - "Wimfolsfessta" (2013)

Self – released demo (8th April 2013)

Line – up (2011):     SL – vocals/guitars/bass/harmonica;
                                 Simon – drums and percussions.

Location:                  Pskov/Helsjön (Russia/Sweden).

Better song of the demo:

“Piercing Mist”.

Better feature of the music:

Its good ability to create dramatic tension.
 Wall of the Eyeless - Wimfolsfestta
Cover artwork: SL

After few months from the review (in Italian) concerning their first demo, the Wall of the Eyeless returns with this new assault titled curiously “Wimfolsfessta”. I say already that it’s decisively better than the first one, also because it has been produced (along with the omnipresent SL) even by Magnus “Devo” Andersson (former bassist of Marduk) at the Endarker Studios of Norrkoping. Hence, many things are changed in the musicality of this dynamic duo, able to sharpen gradually their own style.

Wall of the Eyeless plays an extreme progressive metal with crepuscular tunes, so you must expect many melodies and creative mid – tempos. Obviously, the soloist guitar has always a significant role in the music of these guys, and it is able to disembroil itself through well – invented and long solos, and they are present above all during the last minutes of every song, I wonder why. There are the atmospheric and acoustical breaks also this time, creating a good suspense for the next moments. Besides all this, the band still prefers the long tracks, also if this time they’ve radicalized this feature with even 9 – minutes tour de force of “Flicker”. Hence, this demo lasted for 27 minutes per only 4 tracks.

One of the perfected aspects is the vocal sector, that is more present into the musical discourse than the recent past. It is based on a classic but strong growl. In addiction, now there is also a clean voice, it is melodic, really effective and absent in “The Longest Winter” only.

Instead, the songs’ structure is very free and emotional but without exaggeration of any kind, because there are some main musical solutions into every song. Now, these ones contains always a furious black/death metal outburst full of blast – beats and angry tupa – tupas, so to create a dramatic tension that there wasn’t in the first demo. An excellent example of this feature comes from the last track, that is “Piercing Mist”.

It is a synthesis of the Wall of the Eyeless’ music, being also a big surprise throughout. In fact:

1)      “Piercing Mist” has a very dark and acoustical beginning complete with a gloomy clean voice that is helped by a catacomb echo;

2)      Then, the band explodes with a chaotic outburst, while a crazy soloist guitar that erupts itself completely at last;

3)      The song has an open finale introduced by a long acoustical parenthesis;

4)      It is the song with more fast passages than the usual, also if they are alternated with some doomish moments.

But, if “Piercing Mist” is the climax of the demo, “Flicker” represents its weak point because this song has a very abrupt tempo shift during the long solo, almost at the end. I think the band must found a real connection  between the different moments to makes the tempo shift in a more fluid and natural way. Fortunately, this is a little detail.

Despite the dark production of the first demo, that one of “Wimfolsfessta” is more clear but also dirty and full of life at the same time.
 Wall of the Eyeless - Photo
Summarizing this demo, Wall of the Eyeless are all grown up very much during these 2 years. Hence, I hope that they’ll find a label able to support them. At this point, it shouldn’t be a bad idea if the band works on the debut album, considering the remarkable length of this second demo. Do you like the idea, guys? But a thing: where’s the harmonica?

Vote: 81

Flavio “Claustrofobia” Adducci

Tracklist:

1 – Flicker/ 2 – The Longest Winter/ 3 – Revulsion Fever/ 4 – Piercing Mist

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Tuesday, June 11, 2013

"Tango & Cash" (1989) - Settore Cinema

Sorta di manifesto – simbolo del cinema d’azione anni ’80 in quanto racchiude più o meno tutte le caratteristiche basilari del genere, “Tango & Cash”, film del regista russo Andrei Konchalovski, segue la scia inaugurata da “48 Ore” con Eddie Murphy e Nick Nolte, che nel 1982 fece piazza pulita al box office con la sua mistura sfrenata di commedia e azione brutale, con tanto di coppia di sbirri (beh, più o meno) fra loro ostili e quindi complementari. Solo che, in questo caso, i produttori Larry Franco e Peter Guber preferirono andare sul sicuro assoldando due attori giù ultra – noti, cioè l’ormai leggendario Sylvester Stallone e un Kurt Russell ancora in formissima. Inutile dire che ne uscì un film esplosivo e con almeno 1400 scene di assoluto culto.

La trama vede due poliziotti rivali, cioè Ray Tango (Stallone) e Gabriel Cash (Russell), che lavorano l’uno nella parte ovest, l’altro nella parte est della città di Los Angeles, collaborare (fortuitamente) per sgominare un traffico d’armi immenso organizzato da Barrett (impersonato dall’eterno cattivo Jack Palance, che qui ha una passione smodata per i criceti...). Solo che, proprio mentre stanno indagando, vengono incastrati in grande stile perché, come dice Barrett: “loro sono già degli eroi, perché farne anche dei martiri?”, nonostante Quan (James Hong) e Lopez (Marc Alaimo, inespressivo come pochi), che controllano le rispettive zone d’influenza di Tango e Cash, preferiscano ucciderli senza girarci attorno. Quindi, i nostri due eroi vengono arrestati e portati loro malgrado in un carcere pieno di guardie corrotte e di detenuti che ce l’hanno a morte soprattutto con Tango. E da qui comincia l’allegra vendetta dei due poliziotti, completa di tutto l’occorrente, anche di cattivoni felici di guardare la città all’incontrario con eventuale caduta da un palazzo e di macchinoni assurdi e mega – armati forniti dal più classico (e fesso) inventore pazzo al servizio della polizia.

Il film ha un ritmo costantemente e spaventosamente alto, imbottito com’è di trovate inventive e così ricco d’ironia (all’inizio della pellicola viene citato addirittura “Rambo”) che ridere diventa l’attività principale dello spettatore. Per non parlare del linguaggio forte che ingentilisce soprattutto i cattivi, che così sputano insulti quantomai variopinti come “ti strappo il culo dalla bocca” (…). Invece, i buoni, pur chiacchierando non poco, preferiscono badare ai fatti oppure punzecchiarsi a vicenda facendo spesso a gara a chi ce l’ha più grosso (e quindi, eccovi Cash, a cui Tango ha passato una misera pistolettina: “Ti ho detto di passarmi il mitra, è più grosso!”; e l’altro risponde: “Natura, pisellino”.

Bisogna dire che praticamente ogni scena del film è da antologia, riuscendo nel frattempo anche a caratterizzare molto bene i due protagonisti. Così, si passa dall’inseguimento in un garage (dove succede di tutto) fra Cash e un cinese, al momento in cui Tango sorprende in casa sua la sorella (una Teri Hatcher da sballo) sistemare la schiena di Cash dopo l’evasione dal carcere, dal travestimento tutto al femminile di quest’ultimo alla mega – rissa dentro la prigione. E non dimentichiamoci la resa dei conti finale, piena di fuochi d’artificio, arti marziali, mitra tenuti come se fossero giocattoli, giochi di specchi, granate nelle mutande e, PER FINIRE, i protagonisti che scappano dall’”unico fabbricato rimasto in piedi” che esplode alla grande sullo sfondo. Insomma, come sintetizzare in 10 intensissimi minuti tutti i clichès dei film d’azione di 30 anni fa.

Parlando invece della personalità di Tango e Cash, si deve dire che il primo è quello, diciamo così, più signorile e responsabile dei due, oltre a essere un amante dei bei vestiti e iper – protettivo nei confronti di sua sorella (che lavora come ballerina in un night – club – per gli americani un lavoro cosiddetto “normale” è praticamente un tabù in questo tipo di film!). Fra l’altro, Ray ama dare dei soprannomi ai propri nemici e ha un frase tipica: “seguo questo caso da 3 mesi”, che intanto curiosamente la dice ogni volta che deve arrestare qualcuno. Invece, Gabe è lo spaccone e donnaiolo del duo, sta sempre a provocare, ha una pistola (ridicola) con raggio laser e ama parlare per acronimi, tipo F.O.I.L.A. (“Fottuto Oltre I Limiti Accettabili”).

Il film ha però qualche problema per quanto riguarda i particolari. Per fare un esempio lampante, a un certo punto Cash offende “Coda di cavallo” (il cattivo felice di cadere da un palazzo di cui sopra, cioè Brion James, famoso per il suo ruolo da replicante in "Blade Runner" di Ripley Scott) perché è un immigrato inglese, ma come lo sa se qualche scena dopo il capo della polizia informa lui e l’altro che quello è effettivamente inglese? Insomma, non si tratta di mancanze gravi, solo di inezie che però, se si fosse riposta maggiore attenzione su di loro, sarebbe stato meglio evitare.

Sintetizzando, “Tango & Cash” è veramente un ottimo film d’azione, da puro divertimento e con un’ottima colonna sonora in tutti i suoi 99 minuti di durata. E peccato che sia stato l’ultimo film di grande successo con Kurt Russell protagonista dopo che questi ha regnato per tutti gli anni ’80, a cominciare dall’angosciante film di John Carpenter intitolato “1997: Fuga da New York” del 1981.

Voto: 93

Trailer originale:

http://www.youtube.com/watch?v=zrgmfMtAcOg

Wednesday, June 5, 2013

Vigilance - "Queen of the Midnight Fire" (2013)

Full – length album (Metal Tank Records, May 14th 2013)

Line – up (2010):    Jakob Rejec – vocals/guitar;
                               Gilian Adam – guitar;
                               Anze Stegel – bass;
                               Tine Kaluza – drums;
                               Rok Zalokar – piano (special guest in the titletrack).

Location:              Postojna, Inner Carniola (Slovenia).

Better song of the album:

The titletrack.

Better feature of the music:

Its magic atmosphere combined with a dynamic songs’ structure.
 Vigilance - Queen of the Midnight Fire
Cover artwork: Mario E. Lopez M.

There was a great expectation about the Vigilance’s debut album, considering the previews and the informations, concerning them, published by the Metal Tank Records. In fact, I must say I liked already this platter, not only for its ‘eighties’ sound, but also because the band shows a decisively accentuated personality. In this way, they confirm again that the recent and general return to the metallic roots isn’t pure revival but a movement of great creativity. Anyway, attention, because the Vigilance are an exception to the typical modus operandi of Timpani allo Spiedo, since they doesn’t play extreme metal, also if they have some elements of this kind, as you will see very soon.

In fact, this time we have to do with a band of heavy/speed metal with dark and damned tunes, so to remember at times the Angel Witch (“Under Sulphurous Skies”). But these young guys play both with an excellent imagination and a rare caution to the details, proposing, at the same time, a very reasoned but scrappy songs’ structure complete with a bunch of complex tempo shifts.

The solos occupy a fundamental role in the Vigilance’s music, since you can find sometimes 3 solos in a single song, showing always a good melodic taste and variety. Their function is so embracing that there are the double solos in some songs, while the soloist guitar is also attentive to complete/integrate the main riff.

Another interesting aspect of the Vigilance comes from their vocal sector, that is able to floor the listeners. In fact, Jakob range from the enchanting choirs of the titletrack to the falsettos, from the hysterical and croaking screams to the real growls. He has a versatile voice, preferring anyway a clean and clear tone, hence it isn’t so stentorian as you should expect. Maybe he must work to differentiate in a better way the main line vocals, because, during the second part of the album, they have a slight tendency to the déjà – vù.

A great quality of the heavy metal bands of the ’80 was (and still is) their ability to vary, in a remarkable manner but with a well – defined style, the own songs. Fortunately, the Vigilance are succeeded also on this, even if they play hard throughout and without the compulsory ballad (but there's an interlude for only guitars and bass called "Poetry and the Gods". For example:

-          the titletrack is surely the representative song of the album since it synthesize, in 5 minutes and a half, the main features of the band, containing also a dramatic and horrific finale (with piano) and an almost black metal riffing;

-          “Behind the Cellar Doors” range from the rock moments that reminds the NWOBHM – era to the harder and thrash metal passages, while its finale is pure psychedelia;

-          “SpeedWave”, as suggest the title, is, along to “Night Terrors” and “Ritual of Death”, a speed and headbanging metal song complete with some contagious punkish riffs;

-          “What Lies Beyond…” is THE dark track of the album, also thanks to the main riff and to the swirling solos that are death metal (what the fuck…?). However, this song has a unconciving but particular finale, adding nothing significant to the track’s discourse;

-          instead, “Night Terrors” has an epic mood complete with simply choirs.

The funny thing is that the surprise is behind every Vigilance’s song, since even the bass shoot some good melodic lines, releasing itself from the guitar riffing (and here the Angel Witch’s spectre returns…).
 Vigilance - Photo
In brief, “Queen of the Midnight Fire” is a little masterpiece of old but modern heavy metal. I must say I don’t expected a quality of this kind, also because I don’t follow very much the pure heavy metal scene of nowadays. When I put the CD into my stereo, I was completely caught by the magic but dynamic atmosphere of the album, so… mmmh… maybe I will review more stuff of this kind on my blog.

Maybe…

Vote: 88

Flavio “Claustrofobia” Adducci

Tracklist:

1 – Queen of the Midnight Fire/ 2 – Behind the Cellar Doors/ 3 – SpeedWave/ 4 – What Lies Beyond…/ 5 – Night Terrors/ 6 – Four Crowns of Hell/ 7 – Poetry and the Gods/ 8 – Under Sulphurous Skies/ 9 – Ritual of Death

BandCamp:


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