Wednesday, January 30, 2013

SpaccaMombu - "In the Kennel. Vol. 2" (2012)

Collaborazione EP (Goat Man Records, Ottobre 2012)

Formazione (2012):    Paolo Spaccamonti – chitarre;
                                     Luca T. Mai – sassofono baritono/elettronica;
                                     Antonio Zitarelli – batteria/percussioni.

Provenienza:               (un po’ di pazienza…)

Canzone migliore del disco:

“Idemortos”.

Punto di forza dell’opera:

la struttura particolarissima dei pezzi.
                       
              Copertina: Federico Manzone (Studio Manzone)/Flavio Severino

           Veramente interessante l’iniziativa che la Goat Man Records sta portando avanti insieme alla Noja Recordings e al Blue Record Studio. In pratica, si stanno invitando un po’ di gruppi/artisti per creare musica originale in sessioni di registrazione da 2 giorni. Quindi, dopo il volume primo (che ha visto ospite La Moncada insieme ai Gentless3), eccovi Paolo Spaccamonti insieme ai Mombu, cioè gli SpaccaMombu, gruppo particolarissimo e praticamente unico nella storia di Timpani allo Spiedo, e per più di un motivo che esplicherò cammin facendo (anche se forse uno l’avete già capito… o almeno spero). Per ora, l’unica cosa che posso, anzi, voglio dire è che il gruppo merita, magari qui e là c’è qualcosa che non va ma… eh, appunto, ma mi sono già espresso troppo, quindi continuate a leggere.

Adesso che sono libero, vi siete accorti di un’anomalia importante nella formazione del gruppo? Nono, chissenefrega del sax, sto parlando di un’altra cosa. Ecco, sì, la voce dove cazzo è? Qui nasce il primo dilemma perché per Timpani gli SpaccaMombu sono il primissimo gruppo strumentale in assoluto. Non si sente mai nessun intervento direttamente umano, tutto è soffocante e alieno, disturbato e pericoloso.

E qui viene il secondo dilemma: oggi parliamo per la prima volta di una formazione doom, ecco raggiunto un altro importantissimo traguardo per questa matta webzine. Ma è un doom ultra – minimalista, non esattamente tecnico perché per esempio non ci sono veri e propri assoli, quindi si tratta di roba pesantissima, visto che pare impossibile conciliare tutte queste caratteristiche con l’assenza più totale della voce. Eppure, i nostri sanno trasmettere un’intensità pazzesca (“Idemortos” è l’esempio forse massimo), anche perché il ritmo a volte sa essere stranamente ballabile (“Assufais”), seppur in generale l’atmosfera rimanga cupa e minacciosa.

Ciò che però fa la differenza è forse la struttura dei pezzi, i quali si poggiano tutti sulle variazioni, minime e non, portate avanti dai vari strumentisti. Spicca soprattutto il batterista, che specialmente in brani come “Idemortos” dà prova di una devastante fantasia su quello che è in fondo un riff di chitarra e un sassofono stuprato come nemmanco nel free jazz. Eppure, si poteva fare di meglio in “Assufais”, che purtroppo è statica e poco inventiva. Curiosamente, è anche l’unico pezzo scritto dal batterista, mentre gli altri da Luca Mai.

Il gruppo è comunque riuscito a dare personalità ai vari brani. Si passa così dalla calata negli abissi (senza batteria e con tanto di sax allucinato) di “Antro” alla decisamente più mossa e rockeggiante “Mountains Crashing Sound”; dall’assalto doom rumorista di “Idemortos” (che fra l’altro ha un bel finale ambient, ed è un peccato che sia un caso isolato) alla tribale “Assufais” (dove si sperimenta con le chitarre), per finire con la relativa calma di “Altar of Iommi”, omaggio finalmente esplicito all’ascia dei Black Sabbath.

Ma per stimolare ancor di più l’ascolto non c’è solo la varietà, c’è anche la durata incredibilmente umana dei pezzi visto che ci si attesta solitamente fra i 3 e i 4 minuti, seppur ci sia il picco di 9 minuti di “Altar of Iommi”. Comunque sia, questa durata “umana” riesce a compensare brillantemente la pesantezza della musica quivi contenuta.

E come ultimo, c’è da parlare della produzione. La quale è bella sporca e puzzolente quasi quanto quella di un album di black/death bestiale, ma il tutto rimane sempre comprensibile, anche le numerose sovraincisioni di cui sono riempiti pezzi come “Assufais”.

In conclusione, che dire?, non mi aspettavo una simile pesantezza. Alla fine, gli SpaccaMombu si sono dimostrati un gruppo da Timpani allo Spiedo, cioè estremi, soffocanti e senza compromessi. Quindi, spero che non sia una collaborazione isolata, spero che continui il suo malato percorso. Ma adesso, aria!, ho bisogno di un po’ di blast – beats assatanati, se no rischio di deprimermi alla grande!

Voto: 71

Flavio “Claustrofobia” Adducci

Scaletta:

1 – Antro/ 2 – Idemortos/ 3 – Mountains Crashing Sound/ 4 – Assufais/ 5 – Altar of Iommi

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Monday, January 28, 2013

Rejekts - "UNO-" (2013)

Album autoprodotto (2013)

Formazione (2006):     Black – voce;
                                      S - voce ("5 Minuti di Vuoto" e "Nessuno");
                                      Dave – chitarra/voce;
                                      Joe – chitarra;
                                      Paco – basso;
                                      Nico – batteria.

Provenienza:                Milano, Lombardia.

Canzone migliore del disco:

la scelta è durissima. Probabilmente “Caduta”. Ma anche no… facciamo così, per una volta datemi il permesso di non scegliere. Aaaah, mi sento libero!

Punto di forza dell’opera:

il suo, come dire?,  “coerente camaleontismo”.
                                     
Nota:

faccio presente che l’album non è ancora uscito. Anzi, il gruppo, per farlo, sta cercando un’etichetta discografica, e a quanto mi dice Black, forse l’ha trovata. Quindi, la copertina come la produzione non sono quelle definitive.

CAPOLAVORO!!!! Ho già detto tutto, quindi vaffanculo e tanti saluti!
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Ma state ancora qui? Volete sapere proprio di più, eh? Allora state attenti perché i Rejekts sono cambiati un sacco. Certo, ce lo hanno dimostrato con le ultime due produzioni, ma sinceramente non mi aspettavo un miglioramento così radicale. Ed ecco un gruppo veramente senza compromessi, però adesso basta a fare elogi gratuiti che non servono a un emerito tubo, e quindi andiamo ad analizzare in lungo e in largo il cotanto sospirato album di debutto di questi pazzi giovincelli.

Ci sono 2 parole d’ordine per descrivere “UNO-“: la prima è sicuramente varietà. Va bene, i Rejekts ne hanno sempre avuta a quintalate ma mai come in questo caso. I pezzi sono tutti diversissimi fra di loro, alcuni durano anche ben 4 minuti, minori sono le citazioni cinefile tanto frequenti nel passato più recente, e tante sono le novità. Prima di tutto, non poche sono le canzoni con un taglio malinconico e disperato, seppur mediato da incursioni punk/HC o più black/grind, ora spesso spietate e glaciali. La malinconia permette comunque l’immissione qui e là di passaggi incredibilmente delicati. Inoltre, sono stati introdotti, per la prima volta, dei veri e propri assoli di chitarra, fra l’altro molto belli, melodici e tecnicamente preparati, ma in ogni caso si tratta pur sempre di roba rara (in fin dei conti, stiamo parlando di black/grind, mica di death tecnico!). Eppure, il gruppo, altra novità, si lascia abbandonare certe volte a momenti di puro caos che fanno veramente molto ma molto male. Puro rumore organizzato in musica!

Anche il comparto vocale è migliorato notevolmente. Le urla di Black sono ora più… black del solito, e il lavoro è molto emozionale, magari perché si fa uso di improvvisi e isterici cambi di registro che rendono più malato il tutto. Le urla vengono come al solito supportate egregiamente da quei grugniti profondissimi e marcissimi che ormai sono diventati un marchio di fabbrica del gruppo. Ma il nostro ora ci prova anche con altri tipi di voce, come i grugniti disperati e nasali di “Caduta” mentre in una canzone si usa addirittura la voce pulita, in questo caso parlata (e mi sembra ovvio). Inoltre, in "5 Minuti di Vuoto" vi è l’aiuto offerto da S degli O (altro grande gruppo black/grind del Nord Italia), che urla alla grande insieme a Black praticamente negli ultimi momenti dell'episodio e anche nel coro finale di "Nessuno".
Ennesima novità è l’ultima canzone, cioè “Saru No Tsuki”, crepuscolare ma istintiva. Ciò che più ci interessa è che essa è addirittura una strumentale, e per un gruppo black/grind non è per niente poca cosa.

Quasi però mi scordavo della 2° parola d’ordine. Se la prima è “varietà”, l’altra è indubbiamente “follia”. Infatti, dovete sapere che ogni brano dell’album ha qualche elemento strano, che sia per esempio il riffing, spesso malato ed enigmatico, oppure la struttura ossessiva e basata su continue variazioni da parte di tutti (c’è molta collaborazione fra gli strumentisti, anche per la costruzione stessa delle melodie) di alcuni pezzi, come “Nihilius”. A questo punto, i brani più vecchi praticamente impallidiscono di fronte alla malata inventiva di quelli più recenti, ed è quindi un peccato che un brano come “L’Odio Che Hai Dentro” non sia stato attualizzato a dovere (ed è già la 2° volta che lo dico in 2 recensioni…).
                                       Rejekts - Photo
Altra cosa che si poteva curare un po’ di più è la produzione. Ma non per chissà che, più che altro perché alcuni pezzi risultano essere più compatti di altri (di quelli più vecchi, tanto per chiarire ancora di più la cosa). Epperò, questo è un fattore che non rovina neanche un’oncia della bellezza di quest’album così vivo e avvolgente, quindi…

COMPRATE ‘STO DISCO E FACCIAMOLA FINITA CON LE VOSTRE STUPIDE CURIOSITA’!
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Ops, scusate, ma dovevo sfogarmi in qualche modo.

Voto: 92

Flavio “Claustrofobia” Adducci

Scaletta:

1 – Evanescente Inverno/ 2 – Nihilius/ 3 – Io Senza Me/ 4 – Submorale/ 5 – Fango/ 6 – Abbandono/ 7 – Nessuno/ 8 – Sguardo a Ponente/ 9 – Asettico/ 10 – Carne e Acciaio/ 11 – 5 Minuti di Vuoto/ 12 – Quando Apophis Mangiò il Sole/ 13 – L’Odio Che Hai Dentro/ 14 – Caduta/ 15 – Saru No Tsuki

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Thursday, January 24, 2013

Subhuman - "Tributo di Sangue" (2012)

Album (Subsound Records, 19 Ottobre 2012)

Formazione (2001):   Fabrizio “Zula” Ferzola – voce;
                                    Elia Murgia – chitarra;
                                    Matteo Buti – chitarra;
                                    Federico Fulceri – basso;
                                    Francesco Micieli – batteria.

Provenienza:              Pisa, Toscana

Canzone migliore dell’album:

“In Memoria di Me”.

Punto di forza del disco:

la voce.
                                  Subhuman - Tributo di Sangue
                                                    Artwork: IsisDesignStudio

A volte ritornano. Qualche settimana fa ho recensito il ritorno di Satya Lux Aeterna nei Nahabat, meglio nota per il suo passato negli Streben, mentre adesso è il turno dei Subhuman. Questi pisani sono uno dei gruppi storici di Timpani allo Spiedo, visto che sono stati la 2° formazione ad accettare la partecipazione al primissimo numero di quella che è poi diventata una webzine, e ormai sto parlando più o meno di 4 anni e mezzo fa. Cazzo, sto parlando della preistoria! L’unico "problema" è che dovetti recensire il primo e unico demo (a cui diedi un 9, troppo eccessivo per un demo) del gruppo datato addirittura 2005, ma perlomeno i suoi 5 pezzi lasciavano presagire un futuro pieno di soddisfazioni. Ora, i non prolifici Subhuman si rifanno valere con questo secondo album, nuova mazzata all’insegna del death/thrash metal “all’italiana”.

Attenzione però, perché, per chi non lo sapesse, l’assalto è di tipo moderno. Ed è anche bello tecnico, e sinceramente non mi ricordavo i Subhuman così brutali ed eleganti al tempo stesso. Per esempio, pensiamo agli assoli. Ce ne sono almeno 2 a canzone, sono imprevedibili dato che li si possono sentire in un qualsiasi momento di un qualsiasi pezzo, e presentano una notevole varietà. I soli più curiosi sono quelli direttamente influenzati dalla musica classica, cosa che permette di drammatizzare tutto l’insieme, che comunque rimane solitamente spietato e veramente poco melodico. Peccato però che la chitarra solista venga usata più che altro così, perché, nei pochi casi (come ne “L’Atroce Scommessa”) in cui essa interviene completando semplicemente il riff della compagna, funziona perfettamente dando molta profondità.

In pratica, i Subhuman fondano il loro assalto sulle chitarre, mentre la voce è il secondo aspetto interessante della proposta. E devo dire che, nonostante l’egocentrismo chitarristico, Zula è praticamente onnipresente. Le sue linee vocali sono isteriche, ma il suo approccio negli anni non è che sia così cambiato, si tratta pur sempre di una via di mezzo abbastanza dinamica fra un grugnito non troppo profondo e un urlo simile a quello di Marko dei Land of Hate, solo un pochino più ignorante in certi punti. Ed è sempre ben curata la simbiosi fra l’italiano e la musica, adesso che sempre più gruppi death metal cercano di cantare in madrelingua (il thrash, chissà perché, rimane anglofono…).

Qualche parola bisogna dirla anche sulla varietà dei pezzi. Si distinguono specialmente quelli della seconda parte, con brani come la strumentale “Tutti i Vizi del Presidente”, apertamente anti – berlusconiana; “Evoluzione Inversa”, che contiene delle parti rumoriste simil – mathcore; e l’oscura e doomeggiante “La Profezia”. Peccato però che l’album finisca con “Santo Impostore”, canzone poco inventiva e piena di brevi assoli che sono quasi dei riempitivi. Sinceramente avrei messo “In Memoria di Me” come brano conclusivo, avendo questo delle accelerazioni davvero spaccaossa, altro che!

Altra nota da fare riguarda la struttura dei pezzi. Prima di tutto, questi ultimi si muovono piuttosto complessi e irti di cambi di tempo, si raggiungono anche velocità in blast, cosa non molto comune in ambito death/thrash. Il discorso, certe volte, è da vero e proprio gruppo tecnico, visto che si rispetta volentieri uno schema libero e svincolato da sequenze più o meno fisse, specialmente nella 1° parte. Eppure, paradossalmente, non poche volte il gruppo si incastra in vere e proprie sequenze, magari perché una soluzione musicale è bella lunga, e quindi l’andamento del pezzo si rivela troppo statico e soffocante.

Per il resto, buonissima la prova del basso, abbastanza partecipativo (anche questa roba rara), mentre la produzione è compatta e pulita, ergo non proprio di mio gradimento (come si sa da tempo), ma questo è un fatto puramente soggettivo.

Ma comunque mi aspettavo qualcosa di meglio.

Voto: 75

Flavio “Claustrofobia” Adducci

Scaletta:

1 – Nutrimi Ancora/ 2 – L’Atroce Scommessa/ 3 – Fassaborto/ 4 – In Memoria di Me/ 5 – Il Tuo Nome è Jack/ 6 – Tutti i Vizi del Presidente/ 7 – Il Vecchio Bastardo/ 8 – Evoluzione Inversa/ 9 – La Profezia/ 10 – Santo Impostore

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Tuesday, January 22, 2013

Intervista ai Pork Delikateszen!

Ecco a voi, cari ragazzuoli, l'intervista a quei pazzi dei Pork Delikateszen, gruppo impossibile e ultra - malato. Se non sbaglio questa è la prima intervista in assoluto a cui rispondono.

BUONA LETTURA!

1)     Ciao ragazzi, come la va? Allora, comincio quest’intervista con una domanda che vi ho già anticipato: perché vi siete scelti un nome così strambo come Pork Delikateszen? E soprattutto, QUANDO vi è venuto in mente?

R. Kniaz: I Pork Delikateszen nascono come Pork Delikatessen nel dicembre del 2009 da me e P. (Morbid Evil, SxTxNx, Count Helvete, INRI, Schifo ecc) con l’idea di fare raw black metal ispirato ai nostri principali entusiasmi letterari dell’epoca, cioè alla guerra (alla Prima Guerra Mondiale nel caso del demo). Il nome lo proposi io dopo aver sentito alla radio locale un’intervista a un centro sociale di vecchiacci avvinazzati ai quali il conduttore aveva chiesto quale fosse la loro specialità e la risposta fu “porc delikatessen”. Ci fu subito chiaro che Satana ci aveva chiamati a svolgere il nostro compito.

2)         Vi ritenete un gruppo – scherzo o sotto sotto c’è qualcosa di più serio?
P.C.: La facciata sarcastica e iconoclasta dei Pork non preclude un atteggiamento serio nel fare le canzoni.  Pensa a tutti i bimbiminchia anticristi apocalittici, che spulciano grimori e testi necronomici vari, cazzeggiano con pseudofilosofie elitiste, traspongono le loro ansie sulla lunghezza del pene nel far disegnare il caprone più cazzuto e, quando ci hai a che fare di persona, scopri che fanno tutte queste pantomime per raccattare qualche vagina, dopodichè scompaiono. I fake mi paiono loro.
R. Kniaz: Se un tuo amico per ischerzo ti mettesse un cadavere mutilato nel letto, allora consigliaci a lui perché abbiamo lo stesso “senso dell’umorismo”! Partiamo dal semplice presupposto che non ci sia nulla (dico nulla) di cui non si possa ridere, poi siccome siamo estremi e sboroni diciamo che non c’è niente di cui non si DEBBA ridere. Più che scherzo mi sembra una sorta di cinismo sardonico, che fa bene alla pelle, ma purtroppo non mi aiuta a cacciare le fichette black che mi piacciono tanto.  
3)         Visto che bombardate l’ascoltatore attraverso una strana commistione fra il noise, il black/death bestiale (a là Blasphemy, per intenderci) e lo slamming brutal, quali sono le vostre influenze?
P.C.: I generi da te citati li conosco tutti, ma tendo a privilegiare il Death/Black più aggressivo (ricordo che, guardacaso, codesto pazzo suona anche negli In League with Satan, valido gruppo black/death metal un po' più serioso e tecnico. Nda Claustrofobia) quando si tratta di comporre. Ma è anche vero che i miei processi creativi dipendono anche dalle persone con cui ho a che fare, essendo entrato a progetto già avviato e con ben precisi contorni ho dovuto, come è giusto, adeguare il mio lato creativo, cosa interessante che mi permette di sperimentare cose che in altri gruppi o progetti non possono venire fuori.
Svasticanus: Personalmente sono affezionato particolarmente a generi come il black metal, il grind e il punk, ma dal punto pratico mi vedo più vicino al noise e al drone. Trovo che i loro elementi rendano davvero inquietanti e grottesche le canzoni, impedendogli di cadere nei soliti cliché.
R. Kniaz: I musicisti ti hanno risposto e mi sembra tutto più che chiaro. Per quanto mi riguarda ascolto qualunque cosa si possa definire arrogante e inopportuna, poi io non so suonare manco il triangolo quindi mi limito a sassare i coglioni di P.C. Odio e Svasticanus con le mie stronzate e loro mi regalano queste melodie meravigliose.
4)         Politicamente sembrate un po’ ambigui, perché da un lato vi dichiarate antifascisti ma dall’altro avete addirittura un logo che potrebbe farvi considerare nazisti. Insomma, dite la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità, siete anarco – nazisti o cos’altro?
P.C.: Sul piano dei massimi sistemi mi puoi considerare un nichilista con forti simpatie verso le idee anarchiche, ho una forte antipatia verso ogni forma di bigottismo religioso e ideologico in genere. Ho un profondo odio verso tutte quelle teste di cavolo che si sentono impegnate a convertire il prossimo a una cazzo di idea che, a sentir loro, ci farebbe vivere meglio, dai fricchettoni hippy che credono di cambiare il mondo prendendo trip e mangiando radicchio, ai cristicoli ostiofagi, agli elitisti minidotati e tutti quelli che perseguono pensieri irrazionali basate su un atto di fede "a priori".
R. Kniaz: A me piace sbraitare di Hitler.
5)         Dal punto di vista lirico, di cosa… trattate? Sbaglio o rispetto al primo demo siete diventati più scanzonati?
R. Kniaz: Diciamo che il cinismo è rimasto lo stesso, abbiamo solo aumentato il cattivo gusto. I testi dello split sono vari:
in “VxAxPxUx” (che sta per “violenza a pubblico ufficiale”) per esempio si parla di uccidere tutti gli sbirri; in “Pork Delikateszen”, che è un po’ il manifesto del gruppo, incitiamo chi ascolta a essere mafioso, a drogarsi, ad ammazzare tutti ecc.. Poi ci sono i testi di diretta ispirazione nazista come “Adolf Hitler” (il testo è “Adolf Hitler è il mio Signore, Adolf Hitler è il mio Padrone, Adolf Hitler, Adolf Hitler Adolf Hitler, Sieg Heil 666”); “KZ Manager” parla di quanto sia bello e di come mi piacerebbe dirigere un campo di sterminio, e “Gehimnis Tibet”, in cui non mi ricordo cosa dico, però il campionamento è tratto da un documentario sul Tibet realizzato per essere proiettato agli ufficiali della SS Ahnenerbe.
                                       
6)         Come vi è venuta fuori una “canzone” come “KZ Manager”? Fra l’altro, perché ha un titolo così bizzarro?
R. Kniaz: "KZ Manager" è il titolo di un vecchio videogioco in cui devi dirigere un lager bilanciando il consumo di gas, il numero di ebrei e il loro lavoro da schiavi per ottenere il massimo risultato gestionale (sì, purtroppo un gioco del genere effettivamente esiste. Ne sono state create varie versioni, dal 1990 al 2000. C'è pure una versione per la vecchia Amiga. Nda Claustrofobia). Il testo, come dicevo sopra, parla delle gioie di dirigere una struttura di sterminio (nazista) organizzato e ordinato e nel frattempo di godere come un bastardo perché lì dentro sei il capo e puoi fare il cazzo che ti pare. Non è una figata (vabbè… Nda Claustrofobia)?
7)         Come è nato lo split con i War Plague?
R. Kniaz: Le nostre tracce, che ora sono nello split, erano già pronte e avevamo intenzione di pubblicare un secondo demo finchè, con i vari giri di band e labels della SBRT, scoprii il video dei War Plague, “MOAB”, e fu amore a prima vista! Mandai subito una mail a Mark proponendogli la collaborazione, lui fece la copertina, la grafica del resto dello split mi fu gentilmente realizzata da Ahrin von Past (con cui ho collaborato stampandogli la tape dei suoi Devotion Omega e che ringrazio per la pazienza!) e io mi misi d’accordo coi ragazzi della No Tomorrow e della Human Discount (siete bellissimi! 666) per la coproduzione dello split in cd per le nostre tre etichette e il resto è storia! Lo split è andato sold-out in due settimane e siamo tutti molto contenti e pronti a tornare con qualcosa di ancora più gutturale e maleducato!
8)         A noi poveri ascoltatori ci aspetta qualche altra tortura proveniente dalle vostre menti malate?
P.C.: Non hai visto ancora nulla.
R. Kniaz: Sieg Heil 666!!!

Disponibile la 2° puntata di RadioTimpani allo Spiedo!

Carissime e carissimi,
avviso tutti che in questi giorni ha ricominciato l'attività di RadioTimpani allo Spiedo, la radio più DIY che esista. Quindi, è disponibile a chi è interessato la sua 2° puntata, nella quale si possono sentire, oltre alle mie infernali elucubrazioni, gruppi tosti e validi come:

Krigere Wolf - Black/Death metal glaciale e abbastanza complesso;
Rejekts - Black/Grindcore fantasioso e con tocchi malinconici;
Pork Delikateszen - Noise Black/Death metal bestiale con un po' di Slamming Brutal;
Maelstrom - Metal intimista;
Buffalo Grillz - Grindcore metallico furiosissimo.

La 1° puntata invece, datata ormai un anno fa o giù di lì, vedeva:

Dr. Gore - Brutal/Grind da treno in corsa;
Blasphemous Noise Torment - Black/Death metal bestiale ma bello vario;
Carnal Gore - Death metal moderno con derive tecniche;
Devastator - Thrashcore "all'italiana";
Male Misandria - Black/Grindcore spietatissimo e abbastanza tecnico.

Per chi vuole sentire tutte queste puntate, mi contatti qui o attraverso la mia mail, cioè:

desecration@hotmail.it

HORNS UP!

Saturday, January 19, 2013

Krashing - "Disinterment 1987 - 1993" (2012)

Ristampa (Natura Morta Edizioni, 2012)

Formazione (1987):   Diego Scudeletti – voce/chitarre;
                                    Diego Bolis – basso;
                                    Roberto Previtali – batteria.

Provenienza:              Bergamo, Lombardia.

Canzone migliore dei due demo:

rispettivamente “Infernal Desolation” e “Coarse Moan of the Damned”.

Punto di forza delle due opere:

rispettivamente la voce e la complessità generale.
                         Krashing - Disinterment 1987-1993
                                                 Artwork: Abibial

Io, fino a 2 anni fa o giù di lì, avevo un progetto forse un filino ambizioso: scrivere un libro sul death metal italiano che esplorasse il periodo 1985 – 1993, cioè dal primo, leggendario demo dei Necrodeath in poi. E non sto neanche scherzando. Così mi sono messo a contattare un po’ di gente, magari anche per procurarmi cassette ormai perse nel tempo, e in questo desiderio matto e disperatissimo di scoprire una scena che non c’è più ho scoperto due cose curiose:

1)      il metal estremo italiano è esploso più o meno solo nei primi anni ’90, nonostante la presenza di gruppi fondamentali (e che ancora miracolosamente esistono) come Necrodeath, Mortuary Drape e Schizo. Ciò significa che il nostro metal estremo, se confrontato con quello, che so?, brasiliano, era addirittura indietro;

2)      agli inizi l’estremo era particolarmente diffuso in quello sputo di terra della Liguria, forse proprio per la presenza dei Necrodeath.

Alla fine però quel libro, anzi no, quell’idea, l’ho accantonata, vuoi perché, essendo io un giovincello metallaro 23enne, mi sembra un’idiozia parlare da sapientone di una scena che non ho mai vissuto; e vuoi perché ad alcuni diretti interessati non gli importava un fico secco di questa mia iniziativa, anche se altri ne erano addirittura entusiasti. Poi però ti arriva una ristampa dei due unici demo di un gruppo che ti mancava e che fra l’altro valeva un sacco, uno di quelli per cui oggi diresti “e se avessero continuato?”. Eh, già, perlomeno immagino che siano stati importanti per la loro zona. Sto parlando dei Krashing.
                               Krashing - Cycle of Decomposition
Il loro primo demo, “Cycle of Decomposition” (Rock Kontro Produzioni, 1991), non può comunque essere etichettato come death metal. Si tratta infatti di death/thrash, seppur di death alla fine abbia ben poco, come qualche pattern veloce di batteria con una minuscola dose di blast – beats; qualche riff (“Resound of Terror”, che ha una lunga e triste introduzione acustica); e, soprattutto, la voce (di cui parlerò fra poco). Per il resto, è un thrash metal caratterizzato:

1)      da un riffing abbastanza standard ma efficace e poco melodico;

2)      da un buon equilibrio fra i tempi veloci e quelli più lenti, che spesso sputano fuori un groove contagioso con tanto di batteria dinamica e abile a enfatizzare il lavoro degli altri strumenti;

3)      da una struttura semplice dai frequenti cambi di tempo e dotata di una certa complessità, specialmente lungo la parte centrale dei pezzi (si sentano le due canzoni di mezzo, “Ampia Death” e “Infernal Desolation”).

Ma la voce è uno degli aspetti sicuramente più interessanti dei Krashing. E’ infatti un grugnito incredibilmente bestiale e a tratti urlante, molto vicino per intensità al thrash tedesco a là Kreator anche per via di linee vocali molto ritmate. E, tanto per creare più atmosfera, alla voce è stato aggiunto un riverbero d’effetto, capace di terrorizzare ancor di più l’ascoltatore. Piccola curiosità: nei primi due pezzi si sente uno del gruppo (o chissà chi) ma il bello è che non canta proprio, più o meno dice un “oh!” e basta!

L’altro aspetto da menzionare è la chitarra solista, la quale si prodiga in soli che in seguito verranno sviluppati meglio ma che qui già esprimono una buona varietà, passando da quelli più rumoristi a quelli un po’ più drammatici. Fra l’altro, la chitarra solista si fa sempre viva nella parte centrale, e magari vomita anche più di un assolo.

Insomma, il primo demo, a parte qualche deja – vù e un po’ di prolissità in “Resound of Terror”, mostra un gruppo già dotato e capace anche dal punto di vista tecnico.
                                 Krashing - The Ancient Were, The Ancients Are, The Ancients Will Be
Ma è con “The Ancients Were, the Ancient Are, the Ancients Will Be” (Sonika Associazione Musicale, 1993) che i Krashing fecero il salto. Anche perchè, in soli 2 anni, il gruppo è cambiato tantissimo, e allora m’incazzo perchè se loro avessero continuato avrebbero fatto sul serio degli sfracelli. CAZZO!

In questo caso, si parla di vero e proprio death metal brutale, qualche influsso thrash ancora c’è ma è poca cosa. Adesso hanno una buona importanza dei tupa – tupa selvaggi, il blast – beat è ancora roba rara, ma vi è sempre equilibrio fra i vari tempi, con quelli lenti che si sono fatti poderosi (ma non alla maniera degli Asphyx, beninteso) e grevi. In generale, la musica è più completa e abile, anche se potrebbe sorprendere il primo brano (“In Suffering”) che, rispetto agli altri, è quello più povero, riserva poche sorprese, pure per l’assenza totale della chitarra solista.

Nei pezzi successivi invece, il gruppo esprime tutte le sue potenzialità. Prima di tutto, la complessità viene elargita con più sicurezza raggiungendo il picco in “Coarse Moan of the Damned” e “Followers of Evil” (che fra l’altro dura poco meno di 3 minuti), piccoli gioielli dell’estremo tricolore. I nostri fanno uso di una struttura molto varia, ci sono stacchi e ripartenze mozzafiato, certi cambi di tempo repentini magari introdotti dagli interventi fantasiosi della batteria, i ritorni dopo - assolo ai passaggi principali vengono gestiti molto meglio, senza cioè quelle pause macchinose tipiche del primo demo, mentre alcuni pezzi non possiedono neanche un’introduzione, che prima era praticamente obbligatoria.

Gli assoli ora possono essere persino eleganti, sparando così delle melodie da musica classica, quindi aumenta la drammaticità della proposta. Oddio, forse il loro sviluppo è un po’ troppo schematico e prevedibile, ma aggiungono comunque quel po’ di complessità in più senza inoltre farla pesare.

E’ cambiato però abbastanza il comparto vocale. Sì, è sempre un grugnito cupo. E sì, c’è sempre un riverbero molto atmosferico. Ma adesso l’impostazione è più death, quindi è più pesante e controllata, con l’aggiunta di rare urla che rendono il discorso più malato.

Altra differenza con il primo demo la si individua nella produzione. Prima era sì sporca ma compatta, mentre adesso è funerea ma allo stesso tempo addirittura più viva. Si senta a tal proposito la batteria, che è così naturale e grezza che sembra di essere in sala con il gruppo stesso.

Infine, pure i testi sono parecchio differenti. Quelli di “The Cycle of Decomposition” erano più che altro storielle horror dove il narratore solitamente va incontro a una brutta fine. “Resound of Terror” è però un’eccezione perché è palesemente contro la guerra. Invece, il secondo demo è più anticristiano e lovecraftiano, come si evince in fin dei conti dal titolo.
                           Krashing - Photo
Insomma, 10 pezzi per 35 minuti di durata, un booklet in rigoroso bianco e nero con tanto di foto d’epoca e copertine dei demo, tanta qualità… e la riscoperta del metal estremo tricolore continua…

… però CAZZO, KRASHING, RITORNATE A SPACCARE CULI!

Voto “Cycle of Decomposition”: 72

Voto “The Ancients Were, the Ancients Are, the Ancients Will Be”: 79

Voto totale: 76

Flavio “Claustrofobia” Adducci

Scaletta:

1 – Cremation/ 2 – Ampia Death/ 3 – Infernal Desolation/ 4 – Resound of Terror/ 5 – In Suffering/ 6 – Holy Rite/ 7 – Hate Burns (Inside of Me)/ 8 – Coarse Moan of the Damned/ 9 – Followers of Evil/ 10 – The Darkness Coming

Monday, January 14, 2013

Buffalo Grillz - "Manzo Criminale" (2012)

Album (SubSound Records, 2012)

Formazione (2008):    Enrico “Tombinor” Giannone – voce;
                                    Marco “Cinghio” Mastrobuono – chitarra;
                                    Luciano “Gux” Robibato – basso;
                                    Massimo “Mastino” Romano – batteria.

Ospiti:

Cristiano dei Fleshgod Apocalypse (assolo in “Forrest Grind”);
Gordo dei Ratos de Porao (voce in “Sacro e Scrofano”);
Tom dei Mumakil (voce in “Dawson Crick”);
Luca Mai degli Spaccamombu (sax in “Dimmu Burger”);
Keijo dei Rotten Sound (voce in “Sermoneta Chainsaw Massacre”).

Provenienza:               Napoli/Roma, Campania/Lazio.

Canzone migliore del disco:

“Dimmu Burger”.

Punto di forza dell’opera:

la più infame brutalità unita a un pacco di spassosa imprevedibilità.
                                     
                                   Artwork: Remy C.

         Che succede quando i Dr. Gore (Massimo), gli Tsubo (Luciano), gli Orange Man Theory (Marco) e gli Undertakers (Enrico) si alleano per formare un gruppo come i Buffalo Grillz? Beh, il finimondo, risposta scontata. Ma quando ti metti a sfogliare il booklet del loro secondo album, scopri che c’è qualcosa che non va. Detto in parole povere, dove diavolo sono i testi? E perché al posto delle parole c’è una serie infinita di pistole, mitra, fucili, e così via? Tranquilli, ragazzi, vi svelerò tutto fra poco, ma di sicuro questa non è l’unica sorpresa del disco, dato che ne è letteralmente pieno.

Parlando adesso della ciccia (sostanziosa), i Buffalo Grillz sparano un grind metallico e cinefilo (si passa da “Cape Fear” a una scena storica di “Continuavano a chiamarlo Trinità”). L’assalto si basa su blast – beats e tupa – tupa assassini, anche se alla fine è molto più razionale di quello che può sembrare inizialmente visto che per esempio un po’ di sano groove non manca, mentre le canzoni, nonostante tutto, sono spesso abbastanza lunghe, raggiungendo volentieri i 3 minuti di durata. Quindi, l’ascolto integrale dell’album in una sola botta non è proprio consigliabile data l’estrema e martellante brutalità (oh poverino…). La quale viene supportata inoltre da una tecnica non male che riesce a rendere più isterico il tutto.

Fra l’altro, le contaminazioni con altri generi non sono poche. Fra queste, il brutal è ovviamente il più importante, mentre quelle più sorprendenti sono certe intuizioni meshugghiane (“Forrest Grind”), possenti freddure black (“Bufalismo”), ma quella più figa di tutte si trova in “Pig Floyd”, dove a un certo punto c’è uno stacco di chitarra che porta a uno speed metal stradaiolo a là Tank/Motorhead da headbanging sfrenato!

Come se ciò non bastasse, gli ospiti si dimostrano preziosi come non mai, un po’ come successo per “Descent Into Yuggoth” di Megascavenger. Tra le partecipazioni più riuscite, sono da segnalare assolutamente quella di Cristiano, autore di un assolo vorticoso e alienante (a proposito, nel resto dei pezzi gli assoli sono completamente assenti); Keijo che spara delle linee vocali malatissime; e Luca, che con il suo sassofono riesce a rendere incredibilmente malinconica una canzone come “Dimmu Burger” (che, tanto per inciso, in alcuni punti sembra un plagio della devastante “Chalice of Blood” dei thrashettoni Forbidden). Insomma, anche in questo caso, ce n’è veramente per tutti i gusti, e fra l’altro i Buffalo Grillz continuano orgogliosamente la tradizione grind di Timpani allo Spiedo, che fra Absvrdist, Male Misandria, Rejekts e compagnia brutta, ha di che scegliere in quanto a follia compositiva (e di qualità).

L’aspetto però più folle del gruppo è comunque da individuare nell’impianto vocale. Non tanto per il fantastico campionario di voci, che vanno da grugniti potenti a urla indiavolate per non dimenticare i maialismi vari, quanto per il COSA dicono e COME lo dicono. Per il cosa, beh, la risposta è ASSOLUTAMENTE NIENTE. Sì, va bene, si sente qualche parola vera e propria come un “corri Forrest corri!”, ma in sostanza la voce si comporta quasi come uno strumento musicale. Rispetta un ritmo preciso, è bella schematica (forse troppo…), e ripete le stesse… cose durante uno stesso riff. Ecco svelato il mistero dei testi, e fra l’altro nei crediti stessi c’è scritto apertamente “no lyrics”, quindi non ci devono essere dubbi in proposito.

Ma le sorprese non finiscono di certo qui, perché:

1)      gli ultimi 2 pezzi + outro sono bonus, e il motivo è evidente data l’anomalia sia di “The Truffer”, un mid – tempo, sia di “La Canzone del Sale”, parodia con ovvie sfuriate grind de “La Canzone del Sole” del grande Lucio Battisti;

2)      questo in teoria dev’essere un segreto ma siccome a volte sono uno stronzo inguaribile faccio osservare che i pezzi in realtà non sono 20, bensì 21. La traccia nascosta è fra “Delitto al Blue Grind” e “Sermoneta Chainsaw Massacre”. Ma, beninteso, io non vi ho detto niente…
                                         
                                        Foto: Andrea Giombini

Per il resto, la struttura delle canzoni è spesso semplicissima e sequenziale, solitamente c’è uno stacco nella parte centrale ma con il passare dei brani questi si possono rivelare anche sorprendentemente più complicati; infine, la produzione è compatta e compressa come il brutal moderno comanda, quindi, secondo i miei gusti, è abbastanza plasticosa ma sinceramente chissenefrega perché è la musica che conta. E che bufalo di musica!

Voto: 86

Flavio “Claustrofobia” Adducci

Scaletta:

1 – Intro/ 2 – Linkin Pork/ 3 – Forrest Grind/ 4 – Lapo ElGrind/ 5 – Manzo Criminale/ 6 – Gux & Gabbana/ 7 – Bufalismo/ 8 – Sacro e Scrofano/ 9 – Dawson Crick/ 10 – Improvvisation Intuition Cassaccium/ 11 – Dimmu Burger/ 12 – Grind Sasso/ 13 – Il Marchese del GrillVision Divan/ 14 – Delitto al Blue Grind/ 15 – (traccia nascosta)/ 16 – Sermoneta Chainsaw Massacre/ 17 – Eau de Vergogn/ 18 – Pig Floyd/ 19 – The Truffer/ 20 – La Canzone del Sale/ 21 – Outro

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Friday, January 11, 2013

Unburied - "Murder 101" (2012)

Album (Selfmadegod Records, 17 Dicembre 2012)

Formazione (1994):       Matt Pike – voce/chitarra;
                                       Mark Riddick – basso/voce;
                                       Brian Forman – batteria.

Provenienza:                  Herndon, Virginia (Stati Uniti).

Canzone migliore dell’album:

“Homicidal Sex Rage”.

Punto di forza del disco:

il suo caos, nonostante la struttura fortemente schematica dei pezzi.
                                         Unburied - Murder 101             
            Cazzo, che sorpresa questi Unburied! Sono un gruppo strambissimo, seppur a modo loro. E hanno delle caratteristiche che potrebbero spaventare sicuramente almeno 9 ascoltatori su 10, e fra l’altro il primo impatto con questi pazzi USA non è stato dei più eccitanti, visto che su Metal – Archives campeggia bella bella una rece negativissima sul loro secondo album, che adesso mi appresto a recensire. Solo che lì il voto si attesta su 30 miseri punti, mentre il mio… beh, aspettate e leggete frementi.

La prima cosa da dire degli Unburied è che sono di una rozzezza incredibile, tanto da non avere neanche una minuscola ombra di assolo, al massimo c’è una sovraincisione di una minimalista chitarra solista in “Trapped in a Delusion”, niente di più. Ma questo non è niente se lo si confronta con l’impianto vocale, il quale vede l’alternanza fra un grugnito rauco ma abbastanza espressivo a là Johnny Hedlund degli Unleashed, e un urlo incredibilmente stridulo molto simile a quello di Desecrator dei misconosciuti Hemlock. Quest’ultimo, pur non essendo così potente, si rivela ben contestualizzato con l’atmosfera generale, perché sembra che stiano sgozzando veramente il cantante!

La struttura dei pezzi, poi, è strana un casino! Infatti, gli Unburied sono tremendamente ossessivi, dato che tendono a ripetere uno stesso riff anche per un centinaio di volte (“Trapped in a Delusion” e “Witchburner” sono ultra – esemplificativi), e, come se ciò non bastasse, seguono pure un approccio decisamente sequenziale, nonostante gli schemi delle canzoni non siano per niente complessi. Eppure, il tutto funziona spesso alla grande, perché il discorso strutturale è molto meno statico di quello che sembra grazie soprattutto alla tentacolare batteria, che varia volentieri una stessa soluzione attraverso tempi/intuizioni talvolta molto inventivi. Ed è stato saggio anche limitare i pezzi a una durata breve, solitamente fra i 2 e i 3 minuti.

Ma il tutto funziona anche per via dei numerosi momenti pieni di groove dell’album. Ed è qui che i nostri mostrano delle notevoli influenze hardcore/thrash (da sentire assolutamente “Stalked, Fucked and Buried”), se non addirittura punk, come in “Reborn Unto Hades” o nella bizzarra “Witchburner”, che fa ballare il culo come non mai essendo concentrata esclusivamente sui tempi medi, come la più metallica “Abraxas Annihilation”.

Però attenzione, gli Unburied, come già si evince dal nome, sono un gruppo death metal, pur non disdegnando parecchie contaminazioni. Sono così riusciti a partorire un disco dai pezzi molto diversificati fra di loro, e si citino come ulteriori esempi “Impulse to Kill”, che nei suoi 58 secondi contiene un furioso grind dalle tinte epicheggianti; l’incontrollabile “Homicidal Sex Rage”, vero e proprio caos organizzato con delle pause improvvise da paura (e i nostri spesso procedono spediti senza interruzioni di alcun tipo); o ancora “The Kidnapper”, la più brutal di tutte. Insomma, ce n’è per tutti i gusti, sempre seguendo quello stile particolare incentrato sulla rigidità della struttura con annesse variazioni ritmiche. Però certo, alcuni pezzi confondono un po’ le idee (per esempio, “Witchburner” non ha nessuna derivazione death, a parte le voci), quindi consiglio al gruppo di essere più coerente e compatto dal punto di vista musicale.

Altro appunto da fare concerne la titletrack, che in pratica è una versione quasi identica di “Trapped in a Delusion”, pur risultando incredibilmente migliore per via di linee vocali più intense. Che strana mossa, devo chiedere assolutamente spiegazioni!

A tutto ciò si aggiunga la tendenza del gruppo a inserire qui e là qualche sequenza parlata/sanguinolenta presa chissà dove (e che talvolta sembrano avere il compito di riempire i buchi solisti degli Unburied); e una produzione sporca ma chiara, con il basso in buona evidenza.
                                                   Unburied - Photo
Ecco, adesso sì che potete leggere il voto. Sorpresi? Faccio notare fra l’altro che il 30 Dicembre è uscito lo split degli Unburied con le leggende del death metal USA Nunslaughter, altro gruppo curioso, più che altro perché sforna senza pace pubblicazioni ogni giorno come nemmanco i Throbbing Gristle! Altro che sorpreso, sono senza parole…

Voto: 75

Flavio “Claustrofobia” Adducci

Scaletta:

1 – Trapped in a Delusion/ 2 – I’m Going to Fuckin’ Kill You/ 3 – Stalked, Fucked and Buried/ 4 – Abraxas Annihilation/ 5 – Homicidal Sex Rage/ 6 – Reborn Unto Hades/ 7 – Impulse to Kill/ 8 – Heartless Corpse Defilement/ 9 – Witchburner/ 10 – The Kidnapper/ 11 – Murder 101

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Monday, January 7, 2013

Megascavenger - "Descent Into Yuggoth" (2012)

Album (Selfmadegod Records, 16 Dicembre 2012)

Formazione (2012):   Rogga Johansson – voce/chitarre/basso/batteria
                             
                              Ospiti alla voce:
             
                              Dan Swano;
                              Marc Grewe;
                              Jörgen Sandström
                              Paul Speckmann.

                              Ospiti ai soli di chitarra:

                              Patrick Mameli;
                              Jonas Lindblood;
                              Eric Daniels.

Provenienza:         Gamleby (Svezia).

Canzone migliore del disco:

“Funerals and Ceremonies”.

Punto di forza dell’opera:

la pesantezza unita mirabilmente al groove più scatenato.
         Ragazzi, non so voi ma è incredibile come uno scrittore non così apprezzato dalla critica come Lovecraft sia ancora così vivo e attuale, nonostante le varie posizioni prese sul suo modo di concepire l’orrore. Da una parte infatti, alcuni lo criticano per essersi praticamente fossilizzato sui racconti, e quindi per non averci mai provato con opere più consistenti e di conseguenza più difficili da gestire, seppur effettivamente dei piccoli romanzi li abbia scritti; dall’altra invece, ci si meraviglia sulla sua capacità di evocare un male indefinito, primordiale e cosmico tanto che certuni lo ritengono come colui che ha rivoluzionato per sempre la letteratura del terrore. E quando la sua eredità viene onorata da una musica fatta bene e bella cattiva, beh, allora significa che lo spirito tormentato di Lovecraft è stato evocato perfettamente ispirando fra l’altro l’onnipresente Rogga Johansson, artista iperattivo di cui Megascavenger rappresenta “solo” una delle sue innumerevoli creature.

Quello che il nostro propone in questa sede è un death metal antico continuamente diviso fra lo Swedish sound più ignorante e semplice e gli Asphyx. Quindi, non aspettatevi ritmi forsennati perché, a parte dei tupa – tupa selvaggi in “Catapulted Through Aeons”, qui vi è una netta e pesante predominanza di tempi medi poderosi e spesso groovy, e fra l’altro alcuni pezzi sono più doomeggianti, come “Void of Damnation” (che ha un'introduzione più cupa e maledetta del solito) o il finale “Revel with Vermin”. Eppure, ciò non impedisce di far ballare veramente il culo con qualche incursione crust, e ‘st’influenza è ormai cosa ovvia vista la nazionalità del progetto.

Ma c’è un altro aspetto che riesce a far appesantire di più tale proposta, cioè la struttura – tipo dei brani. I quali si presentano da questo punto di vista molto vari, dato che si va dalla più rigida sequenzialità di “Funerals and Ceremonies” (che nonostante tutto funziona alla grande grazie a un pacco di groove contagioso) alle trame più articolate di “Void of Damnation” per finire con la feroce ossessività della grandiosa “Smokescreen Armageddon” (che presenta degli apporti vocali tremendamente decisivi e parecchio folli). Ma tutte le canzoni hanno in comune l’oppressiva caratteristica di possedere pochissimi stacchi e/o pause, ragion per cui il discorso scorre non solo in maniera fluida ma soprattutto pesantissima. Il bello è che tale pesantezza viene mitigata benissimo dalla durata accettabile delle tracce, che si assestano tutte fra i 3 e i 4 minuti.

E per una volta, anche gli ospiti risultano molto importanti non soltanto perché offrono delle ottime prestazioni (e non poteva essere altrimenti visti i personaggi coinvolti) ma anche perché queste si amalgamano perfettamente con l’atmosfera malata e possente che si vuole trasmettere. Prendiamo in considerazione il cantato, che fa capo al grugnito profondo ma non immobile di Rogga, il quale viene accompagnato da un’ottima varietà di voci, più che altro urla, che vanno dalle disperate alle vomitate e pure alle “scatarrate”. E l’incubo si sta compiendo…

Parlando invece della chitarra solista, il suo lavoro è spesso minimalista però efficace, ma quando sputa gli assoli (memorabile quello torturato di “Revel with Vermin” o quello enigmatico di “Void of Damnation”) succede veramente il finimondo, anche perché essi sono strategicamente perfetti, ossia sono posizionati benissimo all’interno delle canzoni. L’unico rimpianto è che la chitarra solista non è presente in tutti i pezzi, ma a questo punto non ci sarebbero stati caterpillar mefitici come “Funerals and Ceremonies”.

C’è però una cosa strana di quest’album riguardante la produzione. Infatti, gli ultimi 3 brani sono decisamente più sporchi, con una batteria rozzissima. Preferisco comunque un suono simile e quindi sarebbe stato giusto uniformare l’album con una tale produzione, seppur faccia un po’ a cazzotti con i soli (si senta “No Haven for the Sane”, dove la chitarra solista non è esattamente limpida).
Insomma, che dire? Il 2012 è stato foriero di album per Rogga Johansson, visto che se non sbaglio ne ha fatti ben 5, quindi forse un po’ troppi. Ma l’importante per noi è che con “Descent Into Yuggoth” abbia centrato totalmente il bersaglio, l'incubo è compiuto, anche perché atmosfericamente parlando risulta perfetto per evocare i Grandi Antichi. Però cazzo, come fa ‘sto svedese a essere così infaticabile? Non è che sotto sotto è un alieno pure lui?

Voto: 82

Flavio “Claustrofobia” Adducci

Scaletta:

1 – Nihilisticon/ 2 – Descent Into Yuggoth/ 3 – Smokescreen Armageddon/ 4 – Catapulted Through Aeons/ 5 – Void of Damnation/ 6 – Funerals and Ceremonies/ 7 – Death Obsessed/ 8 – No Haven for the Sane/ 9 – Revel with Vermin

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