Friday, June 29, 2012

Necros Christos - "Doom of the Occult" (2011)

Album (Sepulchral Voice Records/Van Records, 11 Marzo 2011)
Formazione (2001): Mors Dalos Ra – voce/chitarra;
The Evil Reverend N. – chitarra;
Black Shepherd Ov Doom – basso;
Raelin Iakhu – batteria.

Formazione etnica (The Saje Ensemble): Mors Dalos Hessam O Din Ra – chitarra;
M.R. – tar, setar;
Mrs. Th. N – flauto;
Ben Ya Min Al Dee – percussioni.

Ospiti: Il coro della Chiesa di Cristo di Berlino (“Necromantique Nun”, “Visceras of the Embalmed Deceased”, “Descenting Into Kingly Tomba”);

Hanan El – Shemouthy – qanun (“Gate III”);

Robert Rabenalt – organo (da “Temple II” a “Temple IX.99”).

Provenienza: Berlino (Germania).

Canzone migliore del disco:
“Descending into the Kingly Tomba”, che, oltre a contare dei rari e devastanti tupa – tupa, possiede delle strane melodie, anche quasi tristi, e un finale ultra - doom con tanto di campane a morto azzeccatissime.

Punto di forza dell’opera:
l’atmosfera maledetta.

Curiosità:

la copertina è tratta da un dipinto dal pittore inglese John Martin chiamato "La Distruzione di Sodoma e Gomorra" del 1832. Faccio notare inoltre che a quest'artista "fu commissionata l'illustrazione del Paradiso Perduto di Milton" (Wikipedia).

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Album ambizioso come pochi, e non soltanto perché presenta ben 23 pezzi (!), ma anche e soprattutto per via di un suono pressoché unico, nonostante sia di derivazione sostanzialmente vecchia scuola, e pregno di una cattiveria paurosa. E il tutto viene suonato sfoggiando una tecnica di tutto rispetto… ma l’entusiasmo è così tanto che sto in pratica recensendo già adesso il secondo album, dopo 4 anni dal precedente, del gruppo. Quindi, non corriamo, e partiamo dal principio.

Prima di tutto, bisogna parlare della curiosa disposizione dei pezzi. Infatti, solo 9 di essi sono effettivamente metallici, mentre tutti gli altri, intitolati “Temple”, li introducono con tenebrose (e brevissime) partiture per organo. Però ci sono anche quelli chiamati “Gate”, che si fanno vivi solitamente ogni due episodi, e che costituiscono, per così dire, la parte più antica del disco. Ciò più che altro perché qui i nostri sfogano tutta la propria passione per la musica etnica sfoderando così brani spesso ipnotici, forse un po’ troppo lunghi e ripetitivi (“Gate II” e “IV”), se non addirittura bellissime improvvisazioni di Mors Dalos Ra (“Gate V”) ed M.R. con il tar (“Gate I”) - "strumento a sei corde simile al liuto" (Wikipedia). Di conseguenza, già qui si avverte l’estrema bizzarrìa dei Necros Christos.

Ma non facciate l’errore di considerare i pezzi metal scollegati da quelli etnici! A tal proposito, risulta molto utile parlare delle chitarre, che tra incubi death metal ultra – malvagi sfoderano spesso e volentieri (ce ne sono in media 2 per pezzo) degli assoli belli lunghi e incredibili sia per come si sviluppano in maniera anche imprevedbile; sia perché risentono profondamente di influenze orientali che donano al tutto un che di solenne e maledetto allo stesso tempo. Fra l’altro, ogni pezzo ha i suoi soli ben definiti, e così, tanto per fare qualche esempio, ecco quelli adesso rarefatti ora persino epici di “Visceras of the Embalmed Deceased”, oppure quelli catacombali e minacciosi di “Invoked from Carrion Slumber”, e bla bla bla.

Altro tratto caratterizzante del gruppo e che aiuta moltissimo a costruire un’atmosfera il più possibile oscura viene dalla batteria. Come prima cosa, è assolutamente da segnalare il fatto che i nostri non amano i tempi veloci, solo raramente espressi, ragion per cui i tempi sono più che altro medio – lenti se non pericolosamente (funeral) doom. Ma paradossalmente, i ritmi sono frequentemente pregni di un groove che fa ballare spudoratamente il culo, e quando lo sono dietro c’è specialmente lo zampino di partiture fondate sui tom – tom e quindi su un approccio molto tribale e ritualistico.

La voce non è per niente da meno, aiutata com’è da un po’ di riverbero che echeggia dannato nei secoli. Il comparto vocale è esclusivo appannaggio di un grugnito molto cupo che rimanda non poco ai nostrani Mefitic (il cui “Signing the Servants of God” l’ho recensito qualche mese fa), solo che, al contrario di questi, qui si è tremendamente fantasiosi nella costruzione delle linee vocali anche perché capace di enfatizzare abilmente tutto l’insieme, senza fare apparentemente nulla di che. Fra l’altro, qualche eccentricità la si evince anche negli stessi testi, visto che talvolta si canta in hindu e forse anche in egizio, cosa che fa rabbrividire ancor di più considerata l’incomprensibilità di questo tipo di versi. Inoltre, in qualche episodio sono presenti dei cori monumentali e spesso insistenti, perfettamente coerenti con l’intera musica.

Decisamente degna d’interesse anche la struttura dei vari pezzi, i quali seguono uno schema essenziale e, almeno all’inizio, classico del tipo 1 – 2 – 1 – 2, che però alla fine si rivela un po’ più complicato date alcune variazioni anche abbastanza impercettibili, rendendo così più imprevedibile il discorso.

La canzone che però esemplifica meglio di altre la musica del gruppo è sicuramente la quinta, la quale risulta suddivisa in 3 parti, chiamate rispettivamente “Doom of Kali Ma – Pyramid of Shakti Love – Flame of Master Shiva”, e guardacaso dura ben 9 minuti. Le sue caratteristiche più peculiari sono le seguenti:

1) l’immaginario esotico si sfoga qui completamente con tanto di hindu mai così presente;

2) si fanno vivi per la prima e unica volta dei blast – beats assatanati introdotti da un assolo folle;
3) la musica diventa via via sempre più soffocante e lenta;

4) il finale è da paranoia e si dissolve gradualmente.

Allo stesso tempo però, è proprio in tale episodio che si individua una mancanza, anche se alla fin della fiera è quasi secondaria: i blast – beats suddetti sono solo delle fugaci comparse, e quindi credo che la discesa inesorabile verso gli inferi, allo stato attuale delle cose, sia stata un pochino velocizzata (oddio cosa ho scritto adesso?). Ma pure la bellissima “Succumbed to Sarkum Phagum” conta al suo interno un piccolo difetto, ossia un ritmo + variazione quasi totalmente identico a uno dell’iniziale “Baal of Ekron”.

Eppure, quest’album è sempre un cazzo di capolavoro!

Voto: 94

Claustrofobia
Scaletta:
1 – Temple I/ 2 – Baal of Ekron/ 3 – Temple II/ 4 – Hathor of Dendera/ 5 – Gate I/ 6 – Temple III/ 7 – Necromantique Nun/ 8 – Temple IV/9 - Invoked from Carrion Slumber/ 10 – Gate II/ 11 – Temple IX.99/ 12 – Doom of Kali Ma/Pyramid of Shakti Love/ Flame of Master Shiva/ 13 – Gate III/ 14 – Temple V/ 15 – Succumed to Sarkum Phagum/ 16 – Temple VI/ 17 – Visceras of the Embalmed Deceased/ 18 – Gate IV/ 19 – Temple VII/ 20 – The Pharaonic Dead/ 21 – Temple VIII/ 22 – Descending into the Kingly Tomba/ 23 – Gate V

Sito ufficiale:
http://www.darknessdamnationdeath.com/