Friday, May 18, 2012

Last Cold Crash - "Origini della Forma: Elefanti e Girondini" (2009)

Ep autoprodotto (2009)
Formazione (2008): Timmy, voce;
Gianma, chitarra/voce;
Thomas, basso;
Luca, batteria.

Provenienza: Parma, Emila – Romagna.

Canzone migliore dell’opera:
“Sole di Mezzanotte”.

Punto di forza del disco:
sicuramente la pazzia e il coraggio che permea tutta l’esperienza.




Nota:

avviso che il gruppo si è purtroppo sciolto, e fra l'altro da pochissimo.

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Roba veramente strana quella che mi tocca recensire oggi. Roba fuori da ogni regola possibile e immaginabile tanto da far felice molto probabilmente gente come gli Husker Du più sperimentali o gli ultimi Black Flag, se non addirittura i Saccharine Trust, cioè i pionieri (beh, più o meno) del cosiddetto jazzcore. Definizione questa che potrebbe essere adatta per descrivere lo sterminio sonoro dei Last Cold Crash, che per la verità si cibano delle più diverse influenze per mettere quasi a disagio l’ascoltatore di turno. Il quale si ritrova disarmato, alla mercè di 3 pezzi belli intensi (anche se comunque abbastanza imperfetti), e praticamente senza nessun punto di riferimento preciso, nonostante la partenza quasi classica del disco.

Sì, perché esso comincia sotto le sembianze di un punk – HC melodico. Ma è solo un’illusione visto che a poco a poco si intravvede l’anima jazz disturbante del gruppo fino a proporre i virtuosismi di una batteria impazzita che non conosce assolutamente tregua. E il delirio continua sparando nel finale addirittura delle tastiere inquietanti che si intrecciano in un tempo medio compatto. Il tutto si risolve in poco meno di 2 minuti. E’ il trionfo del caos ma è anche il trionfo di una sintesi che arriva dritto al punto senza perdere niente per strada. Neanche quella voce, un urlo lacerante e totalmente schizzato ai limiti del collasso (che alle volte dà spazio a un urlo un po’ più tipico e familiare), che nel finale del seguente pezzo diventa addirittura terribilmente disperato.

Ma è partire da “Autocensura di un Candelabro” che i nostri esagerano in tutto, anche per quanto riguarda il minutaggio, ora salito addirittura a quasi 5 minuti! In tutto questo arco di tempo i nostri sfogano il proprio lato più strumentale (non dimenticando perfino di sperimentare con qualche effetto da studio), vomitando per esempio:

un’introduzione molto ballabile e dall’intreccio di melodie a dir poco stupendo che sfocia poi in un tempo medio dal riffing melodico e quasi implorante;

dei momenti molto atmosferici dalle chitarre accennate con tanto di grondanti tom – tom a dettar legge;

e assalti di puro noise in cui sembra che tutto vada in pezzi, magari introducendoli da una lunga pausa apparentemente pacifica (e vi assicuro che questa ogni volta fa molto male!).

Dentro tale piacevole e delirante “casino” vi è però qualcosa che non quadra, ed è da individuare negli ultimi attimi del pezzo. Infatti, all’improvviso si riprende uno dei passaggi iniziali, ma forse questo ritorno è troppo forzato perché dal punto di vista emotivo risulta staccato dal resto della canzone, la quale viene allungata pur avendo detto tutto quello che c’era da dire attraverso quelle fughe senza controllo sopradescritte.

Il bello è che con “Der Planet Der Kleinen Affen” si toccano altri lidi di pazzia e stavolta in poco meno di 4 minuti, introdotti da un boogie contagiosissimo che fa ballare decisamente il culo. Eppure, si riesce a trovare per l’ennesima volta il modo per cambiare totalmente l’atmosfera anche se gli uno – due della batteria rimangono una costante, dato che il riffing si fa a poco a poco tetro e quasi black metal. E così si rimane ingabbiati in un abisso che conosce piccole variazioni derivanti più che altro dall’istrionismo del batterista. E dico peccato perché il riffing che ha un potenziale decisamente atmosferico che però non è stato sfruttato bene, magari sovrapponendo una seconda linea di chitarra atta a completare la prima. E invece si arriva alla lentissima dissolvenza quasi senza colpo ferire.

Insomma, l’opera prima dei Last Cold Crash è un esperimento riuscito per metà che però ha mostrato un gruppo dalle potenzialità quasi aliene e che curiosamente riesce a fare le cose migliori quando comincia a strafare. E fra l’altro seguendo una struttura – tipo (quasi) totalmente esente dai vincoli spesso soffocanti della forma – canzone e suoi derivati. Ecco spiegato il voto apparentemente alto, a dispetto di una capacità di concludere i pezzi ancora da correggere parecchio.

Voto: 71

Claustrofobia
Scaletta:
1 – Sole di Mezzanotte/ 2 – Autocensura di un Candelabro/ 3 – Der Planet Der Kleinen Affen

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