Tuesday, April 24, 2012

Sedition - "Melt Down the Idols" (2012)

Ep autoprodotto (20 Febbraio 2012)

Formazione (2008): Leonardo Romanello, voce;
                                 Fabio Flumiani, chitarra;
                                 Martino Minen, chitarra;
                                  Gianluca Somma, basso;
                                  Stefano Venturuzzo, batteria.

Provenienza: Udine, Friuli – Venezia Giulia

Canzone migliore dell’opera:

“Painted Face of a Savage”.

Punto di forza del disco:

l’atmosfera estraniante e malata
                                    
Nota:

"Il Krakatoa [titolo del secondo pezzo del disco] (in indonesiano: Krakatau) è un vulcano dell'isola indonesiana di Rakata. Conosciuto per le sue eruzioni molto violente, soprattutto per quella che si verificò il 27 agosto 1883 con energia equivalente a 500 megatoni, provocando il suono più forte mai udito sul pianeta, un boato che arrivò a quasi 5000 km di distanza. L'esplosione ridusse in cenere l'isola sulla quale sorgeva il vulcano e scatenò un'onda di maremoto alta 40 metri che correva alla velocità di 1120 km/h." (Wikipedia)

I Sedition si sono presentati come amici dei Male Misandria, e quindi con una premessa di questo tipo essere strani è praticamente una regola. L’altra regola, a quanto pare, è il look per così dire “normale”, visto per esempio l’aspetto da bravo ragazzo del batterista del quintetto friulano. Bene, i Sedition le rispettano più o meno entrambe (e c’era bisogno di specificarlo apertamente?), pur suonando una musica completamente diversa da quella di Von Pontr e soci… ma purtroppo, e lo faccio presente fin da subito, anche i livelli qualitativi sono molto differenti fra di loro. Ma, beninteso, ciò non significa che i Sedition non abbiano potenzialità parecchio interessanti.

Infatti, sono molte le caratteristiche che rendono il loro brutal per niente banale e semplicistico, come:

1)      il settore chitarre, le quali si prodigano in un riffing tecnicamente dotato e spesso non poco disturbante concedendo così rari spazi alla melodie. Queste si fanno vive più che altro grazie all’utilizzo ponderato di scale esotiche, abili a trasmettere un’atmosfera misteriosa e antica, la quale viene enfatizzata soprattutto con la chitarra solista (autrice di prestazioni veramente inquietanti come nei miagolii di “Fucking Retox”), come in “Stoned Sun”. Non manca così qualche (occasionale) assolo, magari rapidissimo e comunque di matrice occidentale (“Painted Face of a Savage”);

2)      il comparto vocale, dominato da un grugnito piuttosto forte che infatti non disdegna urlate in pieno stile metalcore (“Fucking Retox”). L’aspetto però curioso del cantato è a dir la verità una voce gutturale (leggasi “voce”, quindi non è un grugnito vero e proprio) pesantemente effettata da indurre alienazione, quasi ci si trovasse dentro abissi pregni di terrore;

3)      l’alternanza ritmica fra i tempi più veloci e quelli più lenti, con questi ultimi che a volte sono così ossessivi da essere preponderanti nell’ultima canzone, ossia “Eye of the Desert”, la quale è in sostanza un inno al funeral doom più malato e strisciante;

4)      la tendenza ad offrire brani parecchio lunghi, anche da 6 – 7 minuti;

5)      la struttura – tipo dei pezzi, abile a rendere ancor di più difficoltoso l’ascolto attraverso uno schema profondamente sequenziale e rigidissimo, che ama fra l’altro i continui botta e risposta anche fra due sole soluzioni.

Alla fine, però, il risultato è così interessante e particolare da avere qualche buco di troppo, come la batteria, il cui suono è fin troppo plastico e quindi martellante, caratteristica purtroppo comune a molte produzioni brutal degli ultimi tempi; qui e là, specialmente nella prima parte del disco, ci sono dei deja – vù fastidiosi, ravvisabili soprattutto nell’abuso di rullate + riffing massiccio di meshugghiana memoria; e purtroppo anche la metodologia strutturale scelta è un po’ discutibile, visto che durante il discorso viene lasciato poco spazio all’inventiva, sguazzando così spesso nella ripetizione meccanica degli stessi passaggi, cosa che non permette di far emozionare sufficientemente l’ascoltatore.
                                     
In ogni caso, qualche brano, nel suo complesso, si salva, ossia “Painted Face of a Savage” e “Eye of the Desert”. Queste sono infatti canzoni dallo schema più libero e pregne di trovate talvolta geniali, come i monologhi del cantante con tanto di feedback desolante della seconda canzone. Di conseguenza, consiglio esplicitamente ai nostri di raffinare nelle future produzioni una tale libertà d’azione.

Si aggiunga a tutto questo un’autentica sorpresa, ovvero “The Man Forever Big”, pezzo folk (o come diavolo lo si voglia chiamare) americanissimo, sviluppato benissimo nonostante la sua totale estraneità. E guardacaso figura come traccia bonus.

Voto: 67

Claustrofobia

Scaletta:

1 – Painted Face of a Savage/ 2 – Krakatoa/ 3 – Fucking Retox/ 4 – The Stoned Sun/ 5 – Eye of the Desert/ 6 – The Man Forever Big

Sito ufficiale:


MySpace:

Thursday, April 19, 2012

La Nuit - "Demotape" (2011)

Demo autoprodotto (2011)
Formazione (2009): Giulio De Busti, voce;
Marco Mangone, chitarre;
Marco Aprigliano, basso;
Andrea Spinelli, batteria.

Provenienza: Vigevano/Pavia, Lombardia.

Canzone migliore dell’opera:
la noisy “Sangue Infetto”.

Punto di forza del demo:
la devastante alternanza fra le parti più delicate (spesso in senso lato, beninteso) e quelle più cattive.
E ora, una novità totale sulle pagine della webzine più bella del mondo (che modestia ragazzi!). Stavolta infatti si parlerà di un gruppo il cui genere non è mai stato trattato minimamente da queste parti, e che fra l’altro non ha neanche nessuna parentela con il metal estremo, come invece il dark ambient: i La Nuit, quartetto di belle speranze facente quello che gli stessi ragazzi definiscono, in maniera molto azzeccata, “rock crepuscolare” (l’altra definizione può essere “rock alternativo”, ma si sa quanto io odi il secondo termine data la sua nebulosità). Attenzione, nulla a che spartire con roba gotica e cose simili, anche perché il risultato è così pesante e in un certo senso malato da mettere la pelle d’oca, nonostante il gruppo si sia candidato qualche tempo fa nientepopodimeno che per suonare (rullo di tamburi!) al Chiambretti Sunday Show.

Ma non si tratta soltanto di pesantezza. No, perché i nostri si esprimono anche attraverso una fantasia non da poco che permette loro di creare accostamente spesso contrastanti e quasi improbabili. I quali consistono fondamentalmente nell’alternanza fra parti per così dire delicate (si va, per esempio, dai momenti acustici e romantici di “Sirena d’Autunno” a quelli più psichedelici e astratti di “Profeta di Plastica”) e quelle più rockeggianti e cattive,spesso pregne di un cupo fatalismo che a volte sconfina quasi (lo so, forse la sparo grossa, ma se non dico cazzate non mi sento felice) nel black metal. A tal proposito, è da menzionare assolutamente “False Fantasie”, canzone dal riffing a tratti saltellante, e che inoltre parte sì in maniera pacata ma con un’inquietudine già bella marcata.

Tale clima di tensione, strisciante e non, viene accentuata notevolmente dal cantato di Giulio, capace sempre e comunque di adattarsi alle varie situazioni, mostrando di conseguenza un raggio d’azione amplissimo, passando così da sussurrii a urla soffertissime che farebbero invidia pure al Burzum dei “bei” tempi andati. Effettivamente, Andrea mi ha confermato la passione metallara del cantante, la quale si sente anche nell’acuto più da heavy metal di “Sirena d’Autunno”, pezzo sorprendente e non solo per questo fatto. Oddio, a dir la verità il ruolo assunto dalle urla è un po’ prevedibile visto che vengono utilizzate specialmente lungo la parte finale dei brani, quindi consiglio di variare maggiormente il discorso anche in ragione di una certa ripetitività nelle linee vocali (ad esempio, vi è la tendenza di urlare per 2 volte per poi proporre voci melodiose e quasi estasiate).

Un’altra caratteristica particolarmente interessante della musicalità dei La Nuit viene indubbiamente dalla seconda chitarra. Infatti, lungo il corso dell’opera, essa si fa pian piano più presente, anche in modo minimalista (come nel feedback di “Profeta di Plastica”), mentre in altri casi vengono sparati dei veri e propri assoli , come in quello, introdotto guardacaso dall’acuto a là Dickinson, di “Sirena d’Autunno”). Ragion per cui consiglio di reclutare assolutamente un secondo chitarrista, anche perché, così facendo, si riesce ad immergere ancor di più l’ascoltatore nell’atmosfera inquieta di cui è imbottito il demo.

Il quale trova più che degna conclusione grazie a “Sangue Infetto”, che, oltre a essere un pezzo molto completo, è anche il più lungo del lotto visti i 5 minuti e mezzo. Tale episodio si caratterizza per i seguenti aspetti:

1) per la cattiveria totale della voce, la quale si sfoga per il tramite di testi spaventosi (che effetto fanno per esempio parole come “rifiuti umani” e “ti cercherò come un cane”?), scritti da Marco Mangone;

2) per delle parti rumoristiche dove si trova un assolo letteralmente ubriaco;

3) per uno schema più imprevedibile che si allontana molto da quello classico a strofa – ritornello caro ai nostri, considerando le variazioni presenti a poco a poco (a tal proposito, viene sfruttata efficacemente la chitarra solista);

4) per un lavoro di batteria a volte non – convenzionale e aritmico dal quale non si cava fuori nessun groove, variando così dai tipici tempi medio – lenti abbastanza dinamici di Andrea;

5) per delle ottime linee di basso, finalmente più protagoniste del solito.

6) per le voci in lontananza, caratteristica comune ad altri pezzi, atte a trasmettere un’atmosfera un po’ spettrale nonostante la loro melodiosità (o forse proprio grazie a questo?).

A questo punto, data l’ottima capacità dei 4 ragazzi di afferrare letteralmente il climax per partorire grovigli emotivi di sicura efficacia, fa un po’ specie constatare la debolezza strutturale di “Valium”, brano semplice rispetto agli altri, e sviluppato non proprio bene. Ciò a dispetto di alcune soluzioni piuttosto valide che però potevano essere sfruttate meglio (il momento più sognante ed effettato è esemplare da questo punto di vista).

Ma come si è visto, i La Nuit si sono rialzati subito dopo sfogando così tutte le proprie potenzialità. E adesso Andrea mi ha pure informato circa l’evoluzione noise del gruppo, e se queste sono “soltanto” le premesse chissà cosa dovremo aspettarci!

Voto: 77

Claustrofobia

Scaletta:

1 - Valium/2 - False Fantasie/ 3 - Sirena d'Autunno/ 4 - Profeta di Plastica/ 5 - Sangue Infetto

Sito ufficiale:

http://www.lanuitband.com/

MySpace:

http://www.myspace.com/lanuitband

Saturday, April 14, 2012

Queiron - "Impious Domination" (2002)

Album (Mutilation Records, 2002)
Formazione (1995): Marcelo Grous, voce/chitarre;
Tiago Forlan, basso;
Daniel Toledo, batteria.

Provenienza: Capivari/San Paolo (Brasile)

Canzone migliore del disco:
“Eternal Suffocation”, una delle canzoni più selvagge e istintive, oltre ad essere paradossalmente quella più lunga (ben 6 minuti e 40!).

Punto di forza dell’opera:
l’istintività a volte estrema dell’impianto strutturale, che nonostante tutto si regge lo stesso, anche attraverso degli stacchi strategicamente azzeccati.




Nota 1:
faccio notare che quest'album lo recensii la prima volta più o meno nel 5° numero di Timpani allo Spiedo.


Nota 2:


"Queiron è il nome di un centauro saggio e immortale della mitologia greca" (Metal - Archives)
Se non erro, comprai quest’album tipo 5 anni fa, ovviamente a scatola chiusa. Non fu subito amore, visto che mi ci volle qualche settimana per comprenderlo nella sua interezza. Ma dopo questi sforzi immensi, arrivai a considerare “Impious Domination” un vero e proprio capolavoro di death metal tecnico, cosa più che onorevole dati i preziosismi di cui è infarcito il disco. Ma ancor più da apprezzare è la trafila di demo e fuffa varia che i nostri brasiliani hanno sostenuto prima di fare il grande salto, così da costruire lentamente e con tutta sicurezza uno stile abbastanza personale e cervellotico.

Si pensi prima di tutto all’impianto strutturale che sorregge l’album, molto complicato da digerire, anche perché i brani hanno sempre e comunque una durata pressoché assassina (5 – 6 minuti), persino la strumentale (“Veni et Vici”). Infatti:

1) spesso e volentieri i Queiron se ne vanno dove pare meglio a loro, abbracciando quindi non poche volte un approccio bello istintivo nonostante la tendenza a offrire dei botta e risposta 1 – 2 che in teoria dovrebbero alleggerire il tutto;

2) l’uso frequente della chitarra solista, la quale si prodiga, nei momenti più improbabili, in assoli solitamente lunghi (a volte discutibili ma pazienza);

3) l’ossessività di alcune soluzioni, caratteristica (rara) che viene estremizzata curiosamente nella strumentale, creando di conseguenza un’atmosfera quasi claustrofobica.

Il tutto viene appesantito ancor di più dal percussionismo forsennato e tentacolare di Daniel Toledo, amante forse un filo monodimensionale della doppia cassa, e dei blast – beats, che però sa alternare qui e là a puntuali decelerazioni che spesso e volentieri sputano un groove a dir poco contagioso. Notare assolutamente il suono del rullante, così marcio da essere confuso praticamente con i tom – tom.

Altro fattore oppressivo non è nient’altro che Marcelo Grous, cantante dal grugnito sì cupo ma abilissimo sia nel tessere linee vocali sempre fresche, sia a non fossilizzarsi su un unico tono, cosa che gli permette di variare anche all’improvviso in un’unica battuta sfociando in urla da incubo… peccato che lo faccia soltanto in “Immortal Blood of Victory”; e chitarrista semi – geniale dal riffing bello malvagio e isterico, e atto a sanguinare allegramente le dita, pur presentando talvolta un senso della melodia tutto particolare, quasi di matrice rockeggiante. Ma a questo punto sarebbe ingiusto non citare la derivazione thrasheggiante di alcuni riffs, anche se questa è un’influenza non così rilevante.

Però, siccome ho già scritto che qui non tutto è rose e fiori, bisogna ammettere la carenza degli assoli, alcuni dei quali, per esempio, si fanno portatori di fastidiosi deja – vù oltreché di una mancanza di atmosfera che rallenta tutto il discorso (quindi, c’entra anche la lunghezza degli stessi?).

Altra osservazione al limite della pignoleria (…e fortuna che doveva essere un capolavoro ‘st’album…) è la tendenza a far immaginare all’ascoltatore la coesistenza di due chitarre, con l’una che virtualmente continua il solo dell’altra (problema che sarà comunque risolto con l’entrata in formazione di una seconda ascia); e la presenza, come nella strumentale, di ben 3 chitarre, di cui due impegnate in assoli assassini e rumoristi (cosa che non va assolutamente d’accordo con gli spettacoli dal vivo – scusate, ma il pragmatismo è per me una regola ferrea).

Dopo aver demolito felicemente la dimensione solista, bisogna notare la differenza fra i testi di Marcelo Grous e di Oscar M. Vision, autore delle liriche di “Blind Devouts” ed “Heritage of War”. Infatti, il primo è più classico e intollerante, mentre il secondo cerca di argomentare, imboccando una strada quasi pacifista, l’acceso anticristianesimo dei Queiron. Guardacaso, Vision è poi (ri)entrato in pianta stabile nel gruppo come batterista.

Voto: 85

Claustrofobia
Scaletta:
1 – Back to Revenge/ 2 – Impious Domination/ 3 – Eternal Suffocation/ 4 – Immortal Blood of Victory/ 5 – Veni Et Vici/ 6 – You’d Better Light a Candle/ 7 – Blind Devouts/ 8 – Heritage of War

MySpace:
http://www.myspace.com/queiron

Sunday, April 8, 2012

Veratrum - "Sangue" (2010)

Demo autoprodotto (Ottobre 2010)

Formazione (2008):
Haiwas, voce/chitarra;
Caim, chitarra;
Marchosias, basso;
Sabnok, batteria.

Provenienza: Bergamo, Lombardia

Canzone migliore del disco:
“L’Odio”.

Punto di forza dell’opera:
indubbiamente l’intensità a volte estrema del tutto.





Artwork: Maurizio Piccinelli.


Minkia quanto erano diversi i Veratrum di 2 anni fa da quelli del recentissimo “Sentieri Dimenticati”. Oddio, lo stile è a dir la verità sempre bello riconoscibile, ma soprattutto non mi aspettavo una qualità così elevata, forse addirittura superiore rispetto all’album. E ciò nonostante l’essenzialità del booklet del demo, limitato ad una semplice foto di gruppo e senza, ahimè, i testi trascritti, a dispetto dell’importanza che essi rivestono per il quartetto lombardo. Ma andiamo con ordine per presentare fin da subito le differenze che intercorrono fra le due opere:

1) dal punto di vista vocale, il lavoro si rivela qui certamente più classico, visto che ci si “limita” ad un’alternanza pressoché assassina fra urla e grugniti, i quali spesso e volentieri sono così marci e cattivi da non sfigurare per niente in un disco brutal. Le linee vocali sono ottime e con un po’ di sforzo si possono decifrare le parole;

2) la prestazione delle due asce da una parte è più essenziale ma dall’altra è, per così dire (sì, perché in fin dei conti il riffing è piuttosto semplice), più complessa. “Essenziale” perché in tutto il disco si fa vivo un unico (e notevole) assolo, fra l’altro imbottito di melodia (“Io Sono il Tempo”); “complessa” per via di una maggior partecipazione della seconda chitarra nel discorso, in modo da dare manforte alla compagna. In tal senso, si citi in maniera particolare “Davanti alla Verità”;

3) l’importanza più marcata del basso, il quale risulta decisamente fondamentale negli stacchi così da trasmettere spesso un’intensità quasi più da crust che da death metal;

4) l’impianto strutturale, che appare, oltre ad essere meglio sviluppato, un pochino più elastico, soprattutto negli ultimi pezzi ma specialmente nel già menzionato “Io Sono il Tempo”, in cui finalmente lo schema classico del gruppo, basato su precise sequenze 1 – 2 o 1 – 2- 3, viene leggermente sradicato;

5) un’omogeneità dei pezzi più accentuata. Ciò significa che in “Sangue” non ci sono brani maggiormente melodici o aggressivi di altri, come invece succede nell’album. Si segue infatti sempre un approccio diretto e violento, non trascurando però mai la componente melodica, espressa stavolta solitamente attraverso il black metal, né (e di conseguenza) un leggere accenno di atmosfera, che invece farà la fortuna di “Sentieri Dimenticati” grazie all’innesto delle tastiere;

6) l’aura putrida da death vecchia scuola che avvolge specie l’ultima parte dell’opera, riuscendo fra l’altro a creare contrasti perfetti come ne “Io Sono il Tempo” (vi ricordate dell’assolo di cui vi ho accennato?).

Si aggiunga a tutto questo una produzione (ovviamente) più sporca e compressa, con il settore chitarre leggermente in ombra rispetto agli altri strumenti (ragion per cui, consiglio di ascoltare il disco con le cuffie, anche se, beninteso, non siamo ai livelli dei Conqueror di “War Cult Supremacy”).

Ma in mezzo a tal ben di dio (a Claustro’, sei ridiventato per caso cristiano?), devo muovere un appunto, per quanto secondario, inerente la più volte menzionata “Io Sono il Tempo”. Infatti, l’introduzione è stata collegata forse in maniera troppo forzata e brusca con il passaggio successivo, e quindi serviva un “ponte” per farlo più naturalmente.

In compenso, “L’Odio” chiude praticamente con i botti d’artificio il tutto, non soltanto perché è in assoluto la canzone più brutale e intensa della formazione, ma anche perché ha uno sviluppo praticamente perfetto. Da questo punto di vista, il finale dalle tinte apocalittiche è esemplare, dato che cambia a poco a poco per il tramite di un minimalismo quasi esasperante e fra l’altro con apporti vocali inquietanti e martellanti.

Voto: 78

Claustrofobia
Scaletta:
1 – Sangue/ 2 – Davanti alla Verità/ 3 – L’Ora E’ Giunta/ 4 – Io Sono il Tempo/ 5 – L’Odio

MySpace:
http://www.myspace.com/veratrumdeath

FaceBook:
http://www.facebook.com/#!/pages/Veratrum/139607109445796

Thursday, April 5, 2012

Arcanum Inferi - "Ars Hermetica" (2012)

Album (Black Orgon Productions, 23 Marzo 2012)
Formazione (2009): Baram, voce;
Fearbringer, voce in “Tabula Smaragdina”;
Maagher Kxeratum, chitarre/tastiere;
Sethyel, basso;
Frozen, batteria.

Provenienza: Catania/Francofonte, Sicilia.

Canzone migliore del disco:
“V.I.T.R.I.O.L.”.

Punto di forza dell’opera:
la solennità del riffing.








Artwork: Riccardo Costantino (dei Krigere Wolf)



Nota:faccio presente che questa è la primissima produzione della Black Orgon Productions.



Ragazzi, vi posso fare una semplice domanda: ma ultimamente che minkia vi sta succedendo? No, perché mi stanno arrivando finalmente dei dischi curati non solo dal punto di vista musicale ma anche da quello lirico, aspetto quest’ultimo spesso trascurato dalla maggiorparte dei gruppi. Il bello è che gli Arcanum Inferi, rispetto ai Veratrum, si sono spinti pure oltre: come allegato, mi hanno infatti mandato un foglio di presentazione sul quale spiegano per filo e per segno i temi trattati in tutte le canzoni, denotando così un interesse molto approfondito per l’occultismo in modo da evitare, nella maniera più assoluta, le trappole che offrono gli stereotipi. Ciò è dimostrato anche dal fatto che i nostri non citino mai e poi mai Satana, ma più che altro Lucifero, l’angelo portatore della Luce, andando così di pari passo con l’obiettivo di tramandare i segreti più oscuri dell’esoterismo occidentale.

“A’ Claustrofobi’! Ma la musica?”.

Giusto, me ne stavo dimenticando! Stavolta viaggiamo nei meandri del black metal più puro, di quello però dalle melodie evocative e solenni, atte a costruire un’atmosfera dannata attraverso un riffing che si prodiga spesso in soluzioni abbastanza dinamiche e particolarmente lunghe. Nonostante quest’eleganza, i nostri provano un ribrezzo pressoché totale per la chitarra solista (presente soltanto, in una maniera molto efficace e strategicamente puntuale, in “V.I.T.R.I.O.L.” – vecchio pezzo del gruppo insieme a “Obscura Nox Ad Inferos”), scelta più che giusta dato che rispetta la natura da quartetto con una sola ascia di ‘sti sicilaini.

A far crescere ancor di più la tensione drammatica ci pensa inoltre Sethyel, capace a costruire ottime linee di basso, specialmente in “Tabula Smaragdina”, così da completare la melodia della chitarra. Per questo consiglio a lei di raffinare ulteriormente tale brillante caratteristica perché non sempre si fa sentire.

Ma attenzione che, a dispetto di tutta questa melodia, qui si pesta molto volentieri a base di blast – beats incarogniti, pur denotando da parte di Frozen (sì, ancora lui! Ormai è diventato una presenza fissa su Timpani allo Spiedo) un’ottima tendenza a rendere più fantasioso il discorso, anche tramite partiture meno tipiche per il genere. Oddio, alcune variazioni, fra l’altro già espresse in abbondanza nei Krigere Wolf, si ripetono un po’ troppo, però è ben marcata l’abilità di adattarsi a differenti momenti, non ultimo quello dal taglio più doom di “Silvae Veridies”.

E’ anche vero tuttavia notare una certa carenza degli Arcanum Inferi circa l’impianto strutturale dei pezzi. Il quale è costruito non sempre efficacemente, e ciò per i seguenti motivi:

1) si preferisce un approccio sostanzialmente sequenziale, pur non essendo veramente rigido. Infatti, per dirne una, spesso si aggiunge una soluzione nuova che si intromette nello schema base, variazione che però impedisce alle volte di rendere naturali i cambi di tempi, forzandoli un po’ troppo;

2) di conseguenza, alcuni passaggi appaiono poco sviluppati. A tal proposito, “aiuta” “Obscura Nox Ad Inferos”, pezzo che da una parte ha un’introduzione arpeggiata praticamente agghiacciante (e che poteva benissimo essere ripresa lungo il discorso, anche per dare un po’ di “respiro”), mentre dall’altra ha una parte centrale poco incisiva nella quale la voce è muta per parecchio tempo senza però che gli altri facciano qualcosa per sorreggere meglio questo silenzio.

D’altra parte, queste mancanze non hanno impedito ai nostri di partorire il capolavoro a titolo “Tabula Smaragdina”, episodio a dir la verità piuttosto sui generis. Infatti:

1) Baram ha voce in capitolo soltanto nell’introduzione, mentre per il resto tortura i timpani Fearbringer, il quale ha un cantato a tratti più teatrale e gutturale, al contrario del suo compagno, dalle urla gracchianti e acute, e particolarmente uso alle sovraincisioni;

2) Il testo finalmente tiene fede al titolo, visto che stavolta si canta completamente in latino, cosa che permette di donare un’aura più misteriosa al tutto. Il testo effettivamente proviene dalla Tavola Smeraldina di Ermete Trismegisto (figura leggendaria dell'Antichità; portatore della Sapienza e fondatore della corrente filosofica dell'ermetismo), che si dice essere stato ritrovato in Egitto prima dell'era cristiana. I versi del pezzo sono gli stessi che si ritrovano nella pagina di Wikipedia inerente tale misterioso documento;

3) Strutturalmente parlando è un saliscendi di alti e bassi molto essenziale, nel quale hanno una buona rilevanza le doti tastieristiche di Maagher Kxeratum, abile nel tessere trame melodiche molto potenti (si pensi all’introduzione di “Furor Melancholicus”).






Foto: Federica Palermo



Però, nei confronti del gruppo, è ingiusto segnalare come pezzo migliore dell’album proprio “Tabula Smaragdina” vista la presenza dell’ospite (che neanche è nuovo a simili partecipazioni), e quindi preferirei la già citata “V.I.T.R.I.O.L.”, da menzionare fra le altre cose per delle linee vocali belle ritmate.

Voto: 70

Claustrofobia
Scaletta:
1 – Praeludium/ 2 – Aeterna Damnatio/ 3 – Furor Melancholicus/ 4 – Obscura Nox Ad Inferos/ 5 – V.I.T.R.I.O.L./ 6 – Fructus Interdictus/ 7 – Tabula Smaragdina/ 8 – I.N.R.I./ 9 – Silvae Viridies

MySpace:
http://www.myspace.com/arcanuminferi

FaceBook:
http://www.facebook.com/profile.php?id=100001133730008