Saturday, October 22, 2011

Hieros Gamos - "The Sounds of Doom (The Ancestral Myths)" (2007)

Demo autoprodotto (2007)
Formazione (2003): Roberto Moro, voce/chitarre/basso/batteria/tastiere

Provenienza: Ittiri (Sassari), Sardegna

Canzone migliore del disco:
sicuramente “The Sound of Doom”, fatalista e profondamente irrazionale ai limiti dell’istintività più pura com’è.

Punto di forza del demo:
senz’ombra di dubbio il settore di chitarre, molto curato, originale e soprattutto quasi “fastidioso” per come è strutturato.

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Nota:


il progetto Hieros Gamos è ritornato finalmente a farsi sentire, dato che proprio da poco è stato pubblicato l'album "Bionic Era of Psychosis", nel quale Roberto Moro è stato aiutato da vari musicisti, come Lord Bahal dei Bahal e Bloody Hansen dell'esperienza horror The Providence.


Mi ricordo che 3 anni fa, prima di recensire il secondo demo di Hieros Gamos, dovetti ascoltarlo più e più volte in modo da comprendere al meglio quest’opera complessa. A dir la verità l’operazione fu sempre un vero dramma, pur riconoscendo all’epoca l’immane originalità di “The Sounds of Doom”, anche se alla fine conclusi che essa veniva filtrata in maniera un po’ senza senso e quindi irrilevante dal punto di vista emotiva. Solo che, a riascoltare questo disco dopo ben 3 anni, l’effetto è stato diverso nonché spiegabile in maniera sicuramente più razionale.

Infatti, ciò che fa il demo un qualcosa di tremendamente migliorabile è da ravvisare in sostanza in due aspetti poco digeribili, ovverosia:

1) la voce, formalmente quasi vicina al cantato schifoso e inquietante dei Vlad Tepes, ma sostanzialmente quasi inespressiva e senza fantasia nella costruzione delle linee vocali, le quali si basano su un discorso spesso dall’andamento spezzettato;

2) la batteria elettronica, soprattutto perché è stata malamente bilanciata rispetto alle chitarre. Ciò significa che la si sente in maniera troppo debole, impedendo di conseguenza di gustarsela fino in fondo. Unitamente a questo, pur riconoscendo il buon lavoro in fase di programmazione, si deve dire che ci si ostina troppo e con poco costrutto sui tom – tom, i quali si ripetono spesso uguali sé stessi nonché attraverso un suono molto fittizio, e quindi veramente poco profondo.

Stringendo, i problemi derivano tutti dalla produzione molto chiusa e cavernosa oltreché basata sostanzialmente sulle chitarre, che alla fine si rivelano come l’aspetto più interessante della proposta, e non soltanto di per sé, come si vedrà fra poco.

Infatti, prima di tutto il riffing è piuttosto tecnico e dinamico, molto lontano dai classici canoni del black metal, e quindi dal punto di vista più strutturale si presenta abbastanza pesante e coraggioso nelle varie soluzioni adottate. Questo anche perché il nostro è riuscito a combinare un’aura mistica e desertica, direttamente proveniente dalla musicalità araba e orientale, con un riffing di tipo più occidentale, creando così un’atmosfera particolare e affascinante.

Nonostante questo riffing quasi trascendentale anche tecnicamente parlando, gli assoli (che possono essere melodici, come nella lunga introduzione di “The Sound of Insanity”) non sono mai e poi mai una vera e propria cascata di note, dato che si preoccupano più di evocare qualcosa, e non sono neanche belli lunghi, visto che si risolvono dopo pochi secondi, ed inoltre in un pezzo come “The Sound of Melancholy” non ve n’è praticamente traccia. A questo punto sono molto curioso di come usciranno i soli ora che c’è in formazione Lord Bahal dei lecchesi Bahal ad occuparsene!

All’epoca criticai la presunta monotonia del riffing. “Presunta” perché, ad analizzare veramente il disco, mi si è palesata una buona caratterizzazione dello stesso da pezzo a pezzo, non solo perché i riffs sono belli fantasiosi ma anche perché ogni episodio risulta atmosfericamente molto diverso dall’altro. Si passa infatti dal sentore di minaccia di “The Sound of Abyss”, il pezzo più cupo del lotto tanto per mettere le cose subito in chiaro, alle melodie da mare in tempesta (enfatizzate per bene da blast – beats finalmente fondamentali ma quasi mai sovrastanti sui tempi medio – lenti, più utilizzati) di “The Sound of Melancholy”, dalle atmosfere a tratti crepuscolari e disperate di “The Sound of Insanity” per finire con l’apocalisse di “The Sound of Doom”, canzone nella quale il discorso solitamente irrazionale di Hieros Gamos viene estremizzato alla massima potenza attraverso un continuo alternarsi fra melodie senza speranza e riffs più oscuri e severi.

Il “discorso irrazionale” citato è effettivamente la millesima caratteristica del progetto che appesantisce tutto l’ascolto, mitigate in parte dal inserto di atmosferiche chitarre acustiche che qui e là fanno capolino, magari integrandosi con tutti gli altri strumenti come in “The Sound of Insanity”. Il discorso generale dei pezzi è infatti sorretto da una struttura imprevedibile e sfuggente come non mai, assolutamente non rispondente ad un tipico schema a strofa – ritornello, e che fa la spia alle interessanti tematiche freudiane del nostro. Una struttura volta quasi a suggerire una sorta di brainstorming che fa cadere l’ascoltatore in un vortice follia perché così facendo niente è più sicuro. Fra l’altro, chissà perché quasi ogni brano si conclude in dissolvenza (da ricordare soprattutto il cupissimo fatalismo di “The Sound of Doom”), ed in effetti forse avrei preferito un approccio più fantasioso durante la fase conclusiva, ma in fin dei conti è pur vero che la struttura – tipo adottata è lontanissima dall’esser semplicistica.

Tale imprevedibilità scatenata inoltre quasi cozza con l’impostazione profondamente minimale eppur evocativa delle tastiere, utilizzate in maniera sì frugale ma saggiamente.

Ultima caratteristica è la tendenza a proporre suggestivi campionamenti ambientali, dei quali degno di una particolare menzione è quello di “The Sound of Insanity”, il quale, oltre a fungere da (lunghissima) introduzione, è pure bello crudo, visto che è sostanzialmente una macchina di tortura in azione. Curiosamente (e a suo tempo l’ho debitamente osservato), è lo stesso identico campionamento, solo accorciato, che i calabresi Land of Hate hanno usato nel pezzo “In the Hands of Destruction” contenuto nel album “Neutralized Existence”.

Voto: 66

Claustrofobia
Scaletta:
1 – The Sound of Abyss/ 2 – The Sound of Melancholy/ 3 – The Sound of Insanity/ 4 – The Sound of Doom

MySpace:
http://www.myspace.com/hierosgamositalia