Sunday, July 24, 2011

Carnal Gore - "Etrom" (2011)

Album autoprodotto (28 Giugno 2011)
Formazione(2006): Rob, voce;
Steven, chitarra;
Kirk, basso;
Sam, batteria.

Provenienza: Catanzaro, Calabria

Canzone migliore del disco:
indubbiamente “Succubus Dreams” che nonostante al tempo ne parlai come di un brano discontinuo e spezzettato, ora risulta perfetto nel suo rimandare in continuazione il climax finale, soffertissimo, ben ponderato e quindi con una sua nascosta e raffinata esplosività.

Punto di forza dell’album:

la libertà estrema che i Carnal Gore si concedono e che offre loro sviluppi imprevedibili e spesso logici… solo che…. Leggete la recensione suvvia!

Del gruppo potete leggere anche la mia rece del loro secondo demo, che ormai ho rivalutato ampiamente definendolo come un disco degno di notevole attenzione:
http://timpaniallospiedo.blogspot.com/2010/04/carnal-gore-promo-2009.html
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Curiosità:
non fatevi ingannare: cercate di leggere al contrario "Etrom" per far diventare più familiare una parola così apparentemente criptica e fittizia.

Per quanto riguarda il metal, la Calabria è una regione decisamente strana, ed essenzialmente per due motivi:

1) è incredibile ma ogni volta che recensisco un disco di pressoché qualsiasi gruppo calabrese Timpani allo Spiedo conosce certi picchi di popolarità che non avverrebbero neanche con formazioni relativamente famose in campo internazionale come i Kenòs. E questo è indice, se mai ne servisse l’ennesima conferma, di una scena particolarmente agguerrita, unita e direi anche piuttosto regionalista manco si stesse trattando della Sardegna che invece conta al suo interno dei forti movimenti indipendentisti (!);

2) a quanto ho capito, nella Calabria vige letteralmente la legge del melting pot, ovvero la maggiorparte dei suoi gruppi qui recensiti (e non) si esprime attraverso così tante influenze musicali da rendere spesso difficile una loro precisa categorizzazione (penso ai Glacial Fear o gli Acrylate, ma ormai anche la cooperativa Impaled Bitch non scherza affatto). A questa realtà ovviamente non sfuggono nemmeno i Carnal Gore, che fra l’altro, è doveroso scriverlo, tramite il cantante Rob, hanno mantenuto la parola inviandomi per posta tradizionale il primissimo album nonostante la mia precedente rece su di loro non fosse particolarmente entusiastica.

Eh sì, perché i Carnal Gore, pur essendo comunque fondamentalmente un gruppo di death metal ultra – moderno, non lesinano influenze (o semplicemente similitudini) provenienti dal black metal più fiero e magniloquente (“Into the Shrines of Gith”), dal thrash metal, vuoi in maniera indiretta (“Fall of Berith”, che si nutre di personali sonorità rockeggianti che in misura minore sono presenti in altre parti dell’album) oppure filtrato attraverso l’hardcore (“The Ghouls of Malazar”), non dimenticando neanche un po’ di psichedelia (“Serve or Be Served”) come anche qualche momento metalcore, seppur declinato sempre in maniera piuttosto personale.

Di sicuro però l’aspetto più interessante del quartetto lo si ritrova in una certa raffinatezza riguardante soprattutto la parte ritmica. Infatti, il lavoro di batteria è stato curato in modo tale da stupire sempre l’ascoltatore preferendo quindi un approccio eccentrico ma non troppo (si senta a tal proposito il finale da circo di “Fall of Berith” che in pratica si risolve grazie a questo strumento) riuscendo allo stesso tempo ad aiutare tutti gli altri compagni, anche con imprevedibili variazioni generalmente fisse (ossia variazioni che si presentano, sempre per una sola volta, anche durante la ripresa nella canzone di un determinato passaggio) così da regalare ancor più dinamicità ad un discorso che rimane comunque bello contraddittorio. Ma questa raffinatezza concerne anche il settore chitarre, specialmente negli interventi con tapping incorporato sia in “Into the Shrines of Gith” sia in “Succubus Dreams”, immettendo di conseguenza una severa eleganza difficile da riscontrare in circolazione.

Però la struttura delle canzoni è effettivamente curiosa: da un lato ha una bella importanza lo schema a strofa – ritornello; ma dall’altro, i Carnal Gore potrebbero essere definiti tranquillamente come un gruppo di death metal tecnico visto che propongono molti cambi di tempo e quindi una bella dose di inventiva. In linee generali, gli 8 pezzi dell’album si possono suddividere in 4 piccoli blocchi:

- il primo è sicuramente rappresentato dalla versione più classica della formula a strofa – ritornello di cui praticamente sono il simbolo i 3 brani tratti dal promo del 2009 (“Serve or Be Served”, “Into the Shrines of Gith” e, seppur in maniera più bizzarra ma al contempo più ossessiva, “Succubus Dreams”). Una curiosità: la chitarra solista è presente in massima parte nelle ultime due canzoni citate (specialmente nella prima);

- il secondo risulta come un’evoluzione della formula precedente, ovvero prima del famoso schema si snocciola una sequenza del tipo 1 – 2 – 3 – 4 – 3 – 4 dove la soluzione n° 1 è una vera e propria introduzione, fra l’altro spesso bella atmosferica (“Fall of Berith” e, in modo più circolare, “Imprisoned Soul”);

- del terzo filone partecipano i brani inediti (“Etrom”, lo stesso “Fall of Berith” ma anche “The Ghouls of Malazar”, ripresa dal primo disco, questa ricca di cavalcate quasi di burzumiana memoria – ho scritto “quasi”, beninteso!), che in una maniera o nell’altra risultano tutti più complessi e strutturati del solito, presentando quindi uno schema a strofa- ritornello meno scontato;

- “Vile World” invece è un pezzo pressoché unico, visto che semplificando offre una struttura particolarmente paranoica e “ingabbiata” del tipo 1 – 2 – 1 – 2 – 3 – 1 – 2 – 3. Peccato che sia una delle canzoni meno riuscite, soprattutto perché ha una lunga parte finale nella quale la voce non si fa più viva, ragion per cui risulta poco efficace. Per risolvere questo vicolo cieco forse sarebbe servito un assolo, un po’ come fatto in “The Ghouls of Malazar”.

Rimane però il fatto che il discorso, pur spesso risolto in maniera eccezionale oltreché fortemente emotiva, così facendo può risultare controproducente. Sì, perché si ha l’impressione che, partendo da uno schema classico e generico, i nostri vogliano avere la strada più facile per prendere il largo (da cui poi effettivamente nascono le cose migliori), dimenticando di conseguenza per strada il ritornello, e ciò non succede in poche occasioni. Di conseguenza, questa contrastante fiducia in certe sequenze statiche in alcune occasioni risulta un po’ macchinosa così da non riuscire a colpire nelle corde giuste l’ascoltatore (in questo caso si sta parlando di “Serve or Be Served” e “Imprisoned Soul”, pezzo poco riuscito, che sarebbe stato meglio sostituirla con la precedente “Succubus Dreams” che come canzone finale “saluta” degnamente l’ascoltatore in maniera a dir poco superlativa).

Altri dubbi riguardano la totale ri – registrazione (che è ma non è) di 6 pezzi su 8 pubblicati già prima di quest’album (chissà perché l’unico a non essere rientrato in quest’operazione è “Entombed in Pestilence” del demo omonimo datato 2007), cosa che dà una sensazione di deja – vu, di “già sentito” abbastanza fastidiosa. A questo punto, i vecchi brani si potevano almeno un pochino attualizzare, anche perchè sono stati cristallizzati sotto il profilo della produzione, praticamente identica a quella dei passati dischi (attenzione che a dir la verità posso parlare soltanto per “Promo 2009”, dato che non ho mai ascoltato il primo succitato demo) e la differenza, seppur leggera, si sente tra un brano e l’altro.

Voto: 76

Claustrofobia
Scaletta:
1 – Etrom/ 2 – Serve or Be Served/ 3 – Fall of Berith/ 4 – Vile World/ 5 – Into the Shrines of Gith/ 6 – The Ghouls of Malazar/ 7 – Succubus Dreams/ 8 – Imprisoned Soul

FaceBook:
http://it-it.facebook.com/pages/Carnal-Gore/118617847026