Thursday, June 30, 2011

Irreverence - "Upon These Ashes" (2010)

Album (Noisehead Records, 5 Marzo 2010)

Formazione (1996): Riccardo Paioro, voce/chitarra;
Luca Colombo, chitarra;
Mauro Passiatore, basso;
Davide Firinu, batteria.

Provenienza: Milano, Lombardia

Canzone migliore dell'album:

senz'ombra di dubbio "Nothing On My Mind", una delle più fantasiose ed anche delle più spietate e cattive.

Punto di forza dell'album:

la complessità di certe soluzioni nonostante la razionalizzazione attuata nella composizione dei pezzi. Una complessità che rende cervellotico il tutto integrandosi perfettamente con la violenza della musica quivi proposta.
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Ci sono voluti ben 5 anni affinchè gli Irreverence si “decidessero” di pubblicare un altro album, il terzo della serie in 16 anni di carriera. In vista della sua uscita è stata fatta una bella pubblicità, giustificatissima fra l’altro dato che i nostri per registrarlo se ne sono andati addirittura in Austria (con relativo cambio d’etichetta) e come ciliegina sulla torta hanno approfittato di questa situazione per ospitare un loro grande amico nonché storica icona del thrash tedesco (per ora bastano questi indizi?). L’unico problema (se così si può chiamare) è che il nuovo parto l’ho trovato un pochino inferiore rispetto a “War Was Won” perché l’opera di semplificazione (termine che nello specifico ha un significato decisamente relativo) non è andata del tutto a buon fine. Ma per favore non fraintendetemi che prima ho scritto “un pochino inferiore”.

Sì perché, prima di tutto il gruppo ha reso sicuramente più completo e versatile il proprio death/thrash metal che prima appariva più monolitico. Certo, non mancano ovviamente le parti veloci alternate ad altre dal carattere più groovy ma si ha l’impressione che i vari pezzi siano stati meglio caratterizzati fra di loro. Da questo punto di vista è la seconda parte che fa più bella figura, e si vedano a tal proposito:

- “Nothing On My Mind”, dai passaggi doom ora pieni di desolazione, enfatizzati da una chitarra solista angosciante, adesso dal piglio assassino più death metal, e non mancano all’appello nemmeno atmosfere quasi sfuggenti con tanto di effetto d’eco innestato sulla voce come anche sonorità persino rockeggianti che si fanno vive pure nella seguente “Repentance of God”;
- La quale è da citare in particolare per una struttura a tratti saltellante (cioè che in certi punti pare che il gruppo abbandoni una soluzione per poi riprenderla imprevedibilmente un attimo dopo), direi molto originale. Notevole anche il discorso piacevolmente nascosto della chitarra solista. Insomma, “Repentance of God” , a quanto si è capito, è una canzone dai contorni molto subliminali;

- “Vengeance”, probabilmente la più cattiva (e a detta del titolo non poteva essere altrimenti), con quei riffs death metal dal sapore a tratti spaventosamente doom, da vera e propria minaccia incombente. Non a caso è anche l’unica canzone dell’album che si “conclude” strategicamente in dissolvenza così da lasciar presagire il gran finale;

- Che è rappresentato da “Instinct of Death”, pezzo che consta fra le altre cose di una chitarra solista sorprendentemente dolce e arpeggiata, molto in linea con la capacità dei nostri di ricamare melodie dall’alto tasso emotivo. Anche se stavolta quest’abilità, rispetto a “War Was Won”, è stata forse leggermente messa in secondo piano. Il bello è che nonostante questo tipo di melodia sono presenti velocità al limite del blast – beat, similmente al finale esplosivo di “Hands of Fate”, tutto giocato sulle rapide, fulminanti e chirurgiche variazioni sul rullante. Peccato però che “Instinct of Death” soffra di certi deja – vù già sentiti in “Echoes of War”.

Se le sonorità si sono fatte più complete, l’assalto con cui esse si esprimono è stato razionalizzato, proprio come promesso nell’intervista che feci a suo tempo ai milanesi. Se prima non ci si poneva nessun problema ad esternare un’infinità di soluzioni musicali prive di un carattere anche vagamente sequenziale, adesso ci si attesta su binari più logici anche per un ascoltatore medio. Ciò però non significa minimamente che gli Irreverence abbiano abbandonato la strada precedente, e non solo perché le varie canzoni scorrono come al solito tremendamente fluide quasi non conoscendo né pause né stacchi (con relative ripartenze). Ma soprattutto perché i nostri non hanno perso il gusto per la complessità, per la ricercatezza, specialmente dal punto di vista ritmico tant’è vero che in taluni casi se ne è riposta maggior cura che in passato (come in “Echoes of War”). Di conseguenza gli Irreverence non sono da considerare esattamente come un gruppo tradizionale, da impatto nudo e crudo viste certe piacevoli lungaggini (che però non sempre funzionano, come si vedrà), anche se ciò non significa che non manchi un bella dose di sana violenza (e grazie al....!).

Una novità che però ho mal digerito è il ruolo attuale che ha assunto il basso. Infatti, se prima si concedeva seppur qualche leggera puntatina in un certo senso solista, ora ha un ruolo decisamente più limitato e classico per il metal, è diventato praticamente una terza chitarra che per di più è stata messa purtroppo in secondo piano da una produzione che si avvicina molto a quella ultimamente sentita nel demo dei palermitani blackettoni Beasts of Torah. Una produzione quindi che, ponendo l’accento su frequenze altissime e sul carattere impastato tipico dei concerti rende sì vivo il tutto ma allo stesso tempo affossa in certi momenti le chitarre. Per questo consiglio caldamente di ascoltare l’album con le cuffie.

Dubbi più seri riguardano paradossalmente “Echoes of War”, nella quale si fa viva (avete indovinato?) nient’altro che la voce di Tom Angelripper. Paradossalmente anche perché è IL pezzo particolare dell’album, basato com’è su tempi medi (che strano per il gruppo…) per la maggiore belli eccentrici e complicati. Solo che l’episodio non ha spinta, emotivamente viene soffocato da una struttura che ripete con una certa meccanicità le stesse soluzioni per tutta la durata. Inoltre, nel brano traspare una prolissità che gli ha impedito di sfruttare e quindi di sviluppare in maniera veramente strategica alcune fra le soluzioni più bizzarre dell’opera (per esempio lungo il finale sarebbe stato meglio accorciare il passaggio ritmicamente più fantasioso - che mi ha ricordato per struttura i Detestor di "In the Circle of Time" -, per poi magari proporre qualcosa di consistente dal punto di vista emotivo).

Gli Irreverence infatti, seppur in pochissimi casi, denotano una freddezza che impedisce all’ascoltatore di essere trasportato del tutto. A questo punto non si può non menzionare “Destructive Illusions” che, pur avendo brillanti intuizioni come certe vaghe (beninteso, ho scritto “vaghe”) similitudini con il metalcore su severi tempi medi, ha un finale forse un po’ troppo in sordina, burrascoso e soprattutto per niente enfatizzato. Il quale si sarebbe giovato di una maggiore espressività, da rintracciare ad esempio nella voce, tanto fantasiosa nelle linee vocali quanto un poco statica nelle soluzioni tonali.

Voto: 71

Claustrofobia
Scaletta:
1 – Not One of Them/ 2 – The Sheperd Dog/ 3 – Hands of Fate/ 4 – The Truth Mask/ 5 – Echoes of War/ 6 – Nothing On My Mind/ 7 – Repentance of God/ 8 – Destructive Illusions/ 9 – Vengeance/ 10 – Instinct of Death

MySpace:
http://www.myspace.com/inthechaos