Tuesday, June 28, 2011

Glacial Fear - "Frames" (1997)

Recensione pubblicata il 15 Giugno 2011 sulla mia pagina FaceBook.

Album (Nocturnal Music, 1997)
Formazione (1992): Andrea “Big Foot” Rizzuto – voce, basso
Gianluca “Leon” Molè – chitarra, programming
Gianluca “Orko” Anastasi – chitarra (?)
Salvatoer “Deathead” Mancuso – batteria, programming

Provenienza: Catanzaro, Calabria

Canzone migliore dell’album:
“Garden of Sight”: la perfezione assoluta! Qui c’è di tutto, perfino chitarre di zeppeliniana memoria. Ed un finale di fatto infinito, effetto di un testo così pessimistico e senza speranza da far considerare fringuelli i Napalm Death. Per non parlare della costruzione emotiva del pezzo che non sbaglia nemmeno un colpo. Ripeto, la perfezione assoluta.

Punto di forza dell’opera:
sicuramente la devastante e rara varietà e fantasia che il gruppo si ritrova appresso e che non fa mai perdere di vista, attraverso anche paradossali tipi di emozioni, un’atmosfera apocalittica che dopo ogni ascolto ti rimane nelle viscere della tua coscienza per non mollarti più.

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Curiosità:
come tantissimi altri gruppi italiani e non, solitamente underground, quest’album l’ho comprato in offerta, poco meno di un anno fa, nel mio negozio di fiducia sottocasa, Star Music. Un omaggio è giusto quello che ci vuole per un negozio (che però funge anche da libreria) per niente specializzato nella nostra musica che però la promuove in maniera efficace e soprattutto dando una mano alle formazioni nostrane.

Alcune delle quali si trovano proprio nella lista dei ringraziamenti dei Glacial Fear, nel caso specifico i napoletani Funereum (tremendamente promettenti ma dalla vita brevissima fra l’altro senza mai pubblicare un album) e i genovesi Detestor (gruppo geniale come pochi);

la stessa pagina dei ringraziamenti è intrisa della Storia del metal estremo italiano: vi si trovano infatti, oltre ai Detestor, gli immarcescibili catanesi Schizo, i malati pugliesi Funeral Oration, i tecnici lombardo/pugliesi Gory Blister e, dulcis in fundo, il gruppo bolognese che pubblicò nel lontano 1993 il primo vero disco death metal della penisola, cioè gli Electrocution.

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I Glacial Fear sono letteralmente uno dei gruppi storici della nostra penisola, pur non essendo particolarmente conosciuti. A loro va probabilmente ascritto il merito di aver dato il via a quella scia inarrestabile di formazioni politicizzate dall’impronta quasi anarchica (e comunque SEMPRE contro i vari tipi di ingiustizie) come gli Zora, i Land of Hate, gli Acrylate e compagnia, che in parole povere tutte insieme non formano altro che la (piccola) grande ed agguerrita scena calabrese, da sempre ospitata volentieri sulle pagine di Timpani allo Spiedo. Fra l’altro, “Frames” non rappresenta altro che il primissimo album dei Glacial Fear che, se erano molto interessanti già all’epoca, oggigiorno stanno ancora continuando in maniera coraggiosa a portare avanti un cammino evolutivo abile a sorprendere ogni volta l’ascoltatore.

Eppure, mi pare un po’ difficile considerare “Frames” come un album veramente catalogabile come di Metal estremo. Va bene, ci sono urla belle grosse a là Isis (“In the Absolute Deep Blue Sea”) mentre grugniti non esattamente profondissimi dominano la scena alle volte in modi addirittura molto melodici e incredibilmente intonati (“Underworld”). Ma una delle caratteristiche peculiari di (quasi) tutto il metal estremo sono i ritmi indiavolati, che qui non dico che sono assenti però marginali e paradossalmente non – violenti sì (per esempio non c’è nemmeno l’ombra di un misero blast – beat). Si fa infatti spesso uso di tempi medi belli groovy ma presentando al contempo sia una bella tecnica che un’occasionale tendenza a sparare ritmi di una bizzarria talvolta mai sentita (sentitevi a tal proposito l’isteria impressionante e filo – jazzistica di “Zoom” – che nel finale genialmente la mischia con tutta un’altra soluzione facendo esplodere il tutto).

Ma non credete che dal punto di vista vocale ci si fermi soltanto lì. Sì, perché i nostri hanno avuto la brillante accortezza di ospitare nella maggior parte delle canzoni Patrizia “Patty” Schioppa, che con i suoi toni più alti e puliti riesce a donare un’atmosfera quasi minacciosa. Non facendo neanche chissà che cosa dato che ha uno stile di canto statico e piuttosto limitato, eppure diavolo se è efficace! Curiosamente, si fa viva particolarmente nei momenti più psichedelici (nel senso letterale del termine) ed apparentemente delicati, come in “Third Millenium” dove viene introdotta da un urlo “echizzato” in perfetto manuale black metal, oppure nei momenti persino più sereni (“Underworld”). A dir la verità sarebbe stato meglio testarla anche in passaggi diversi da questi così da darle maggior respiro, ergo più capacità d’interpretazione.

Un’altra caratteristica interessante dei Glacial Fear e che li allontana notevolmente dai soliti gruppi qui recensiti è rappresentato dal tipo di riffing. Infatti, sarò blasfemo ma può capitare che i classici riffs granitici del gruppo virino nientepopodimeno che nel più duro nu (o new) metal. A tal proposito, ascoltatevi per bene la rocciosa “Theocratic Stubborn” che spesso richiama la pesantezza tipica del genere. D’altro canto, qui e là affiorano spesso sonorità rockeggianti, perfino nel thrash metal da headbanging di “Frames” (curioso come il pezzo più veloce, e quindi non esattamente rappresentativo della musicalità della formazione, abbia dato il titolo al disco), ma è anche vero che i Glacial Fear sono stati capaci di partorire un disco molto vario e fantasioso riempiendo inoltre il discorso di qualche assolo per nulla banale.

Per far comprendere appieno la natura multiforme di “Frames”, la seconda parte dell’opera è sicuramente quella più congeniale essendo quella decisamente più coraggiosa, e non soltanto per la presenza conclusiva e magnifica del tour de force di ben 9 minuti di “Garden of Sight” (che ad un certo punto contiene raffinati sviluppi arabeggianti con tanto di abbozzate percussioni tribali). Nell’ordine:

- “Third Millenium” si fa rispettare per dei tratti marcatamente black metal unito ad un austero ma spaventoso decadentismo portato avanti da lugubri tastiere;

- “Look Around” è isterica in senso molto rock ed è da menzionare soprattutto per la “scomparsa” della voce negli ultimi 2 minuti e mezzo, così da permettere una lunga fase strumentale che in mancanza avrebbe necessitato di parti più consistenti dal punto di vista emotivo e di almeno un assolo in più. Fra l’altro, Patrizia è qui completamente assente e probabilmente il suo apporto melodico avrebbe regalato più linfa vitale al pezzo che invece non arriva molto lontano;

- “Underworld” è in un certo senso la canzone più commerciale (in senso buono) di tutto il lotto avendo un andamento tremendamente melodico con la voce che non solo fa quasi il verso al cantato punk – oi! ma è incredibilmente più alta del solito. Il carattere sereno e armonioso di quest’episodio è giustificato dal testo praticamente vendicativo contro il potente di turno che in uno scenario apocalittico si trova solo nel mondo e che di conseguenza, non potendo più realizzare i suoi sogni di onnipotenza, dovrà pagare presto i suoi crimini. Da notare inoltre in tale brano, oltre a quella di una chitarra solista perfetta, l’ottima prestazione del basso che nei Glacial Fear non è raro sentirlo intrufolarsi anche lui nel discorso melodico rifiutando così il ruolo di seconda/terza chitarra che gli è di solito attribuito nel metal (si ascolti in tal senso pure “In the Absolute Deep Blue Sea”).

Ma l’atmosfera maledetta e cupa del gruppo non sarebbe niente se non ci fossero degli effetti sfuggenti, minimalisti ed estranianti a coronare il tutto, così apparentemente innocui da scaraventare l’ascoltatore in un qualcosa di freddo e disumano. A volte, come in “Theocratic Stubborn” sfoderano campionamenti più diretti, ossia nel caso specifico delle vere e proprie badilate. Ne viene fuori un quadro nel quale l’elemento elettronico prende spesso piede concedendosi addirittura in “Garden of Sight”, fra i tanti assoli di chitarre, anche un ottimo solismo di sintetizzatore.

In parole povere, una musica che esalta e difende il lato civile del Sud, che si dimostra ancora una volta avanti nel metal.

Voto: 87

Claustrofobia
Scaletta:
1 – In the Absolute Deep Blue Sea/ 2 – Numb/ 3 – Frames/ 4 – Zoom/ 5 – Theocratic Stubborn/ 6 – Third Millenium/ 7 – Look Around/ 8 – Underworld/ 9 – Garden of Sight

FaceBook:
http://www.facebook.com/search/?q=glacial+fear&init=quick#/pages/Glacial-Fear/45727677942?v=wall&vie

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