Sunday, December 6, 2009

Bunker 66 - "Out of the Bunker" (2009)


Se gli Egomass sono la modernità al servizio dell’innovazione, i Bunker 66 sono il classico gruppaccio di scalmanati Motorhead-dipendenti che verrebbero bollati dai metallazzi modernisti come qualcosa di stantio e superato, mentre altri stupratori del gusto raffinato si fionderebbero subito ad adorare sentendo il loro marciume sonoro che sa di antico. Ed io, ovviamente, faccio parte della seconda schiera, dato che non riesco a resistere veramente all’intensità dei Bunker 66, al loro coraggio di far ritornare in vita un passato per fortuna mai morto e sepolto, che ci urla nei timpani dandoci una lezione circa le radici primitive di un genere quale è il black metal. Ergo, penso che sia decisamente meglio per tutti ascoltare questi assatanati e ringraziarli del culo che si fanno.
“Out of the Bunker” è praticamente la prima creatura dei bestiali Bunker 66 (chissà perché solo 2 6?), un trio magico formato nel 2007 ed attualmente costituito da Damien Thorne, voce e basso, Bone Incinerator, chitarre, e da Desekrator of the Altar, batterista, artisti che tra l’altro non sono per niente dei novellini, se si pensa, per esempio, che il primo e l’ultimo suonano insieme nei Traumagain, oltre che negli AlterAzione, veterani del punk-hardcore siciliano. Loro 3 provengono da Messina, ribadendo in tal modo (se mai ce ne fosse stato ancora bisogno) il ruolo di primo piano del Metal estremo dell’isola nella scena italiana, sempre pronto a sfornare opere, specialmente di stampo black, a mio avviso di indubbio valore. “Out of the Bunker”, pubblicato di recente in maniera totalmente indipendente, risulta costituito da 6 pezzi che per quanto riguarda il minutaggio vanno dritti al sodo, offrendo in pasto agli affamati circa 20 minuti di musica dove trova posto un black/thrash metal marcio e puzzolente che farà sicuramente la felicità degli amanti di gruppi quali Hellhammer (la somiglianza mi sembra vistosa specialmente nei rallentamenti), Horned Almighty (però questi secondo me più complessi e genuinamente black), ultimi Gospel of the Horns (quelli di “The Realm of the Damned” per intenderci, anche se a mio parere loro sono maggiormente thrash e tecnici), o anche gli ultimi mitici Darkthrone, il tutto confluito attraverso una vena assolutamente goliardica che molto probabilmente piacerà ai grandi Venom, anche se in questo caso si scherza talvolta con argomenti piuttosto pesantini come è il nucleare (come possono dimostrare le ultime 3 canzoni dell’opera), ma tant’è. Comunque, il suono è all’insegna della diretta semplicità, senza quindi inutili tecnicismi, anche se i 3 presentano un livello tecnico a mio avviso decisamente buono, si sente insomma che non sono degli sprovveduti, ed ovviamente dei tempi veloci, seppur proponendo, con una certa frequenza, altri medio-lenti di impronta piacevolmente assassina. La musica spesso possiede tra l’altro, secondo me, un groove tremendamente notevole che si sente pure quando i nostri vanno a velocità abbastanza sostenute (ma non immaginatevi assalti thrash, per esempio, a là Violator perché siamo veramente in un altro mondo), che è poi classico di gruppi affini, Horned Almighty od Incriminated che siano. Ma il bello è anche che i Bunker 66 incorporano nella loro tipica melma, non poi così varia e fantasiosa ma in questo caso chissenefrega, pure influenze che proprio non mi aspettavo, e chi vi dirò prossimamente. Strutturalmente parlando, le canzoni rispettano il caratteristico schema strofa-ritornello senza comunque mai stufarmi, considerando inoltre che ogni pezzo, chi più chi meno, si distingue abbastanza bene da ognuno, andando dalle “più classiche di così non si può” (“Walpurgisnacht” – la più lunga del lotto, circa 4 minuti e 10 -, che secondo me non a caso è stata messa per prima proprio con lo scopo di presentare subito all’ascoltatore qualcosa di lineare, diretto, ergo memorizzabile, introdotta tra l’altro da una soluzione che funge anche da chiusura; “Metal Redentor”, un po’ più scarna – ma con sempre 4 soluzioni presenti – con differenze rappresentate dall’assenza di un passaggio d’apertura e, di conseguenza, di chiusura - almeno inteso come nella prima canzone considerata -, dal fatto che le ultime due apparizioni del secondo passaggio non sono accompagnati dalla strofa, e che la parte centrale, rispetto a “Walpurgisnacht”, è invertita, nel senso che prima compare l’assolo e poi il 4° riff, con l’ennesima differenza – ancora? Che palle! – che nel brano sopraccitato la parte centrale è costituita dalla sua terza soluzione, quella del ritornello insomma; “Radioactive Bath”, che tratterò invece tra molte righe) a quelle maggiormente fantasiose, (“Blasphemous Ignorance”, che ha la seguente struttura, basata sulle soluzioni proposte: 1 – 2 – 1 – 3 - 3 mod. – 3 - 1 (assolo) – 4 – 4 mod. - , – 4 ancora mod.. Faccio notare che qui il ritornello viene cantato soltanto una volta a botta. Inoltre, il 3 mod. è il riff subito precedente che cambia semplicemente di tono, ed in 4 mod. il tempo diventa più veloce, mentre in 4 ancora mod. il riff è sottoposto a singole plettrate e la batteria finisce il tutto lavorando sui tom-tom), come tra l’altro non mancano i brani apparentemente circolari ma che poi sfoggiano un assolo dopo che per 3 volte si sono fatti vivi la strofa ed il ritornello (con un rallentamento, com’è ovvio, dopo le prime due apparizioni), come succede in “A Can of Zyklon Please. Insomma, bisogna osservare che generalmente un brano dei Bunker 66, nella prima parte è veloce, in quella centrale è più lento, mentre nell’ultima si ritorna veloce come prima (ma anche no, come dimostra “Blasphemous Ignorance”), talvolta finendo il tutto con qualcosa mai proposto prima (“A Can of Zyklon Please”, che è tra l’altro la canzone più breve – ma di poco! – del demo, ossia è lunga poco meno di 3 minuti). Inoltre…nah, questo ve lo dico dopo! Ogni brano comunque presenta dalle 3 (“Radioactive Bath”) alle 5 soluzioni (“Lurking Demons of (War)”). Il gruppo, a mio avviso, alla luce di tutto ciò, sa tenere desta l’attenzione dell’ascoltatore anche con trovate poco convenzionali ed alla resa dei conti un pochino imprevedibili come la ripetizione in 5 volte (considerando che di solito, nel Metal estremo, una data soluzione viene ripetuta per un numero di battute divisibili per 2) di un passaggio presente in “Metal Redentor”. Dopo questa lunga e pallosa analisi della struttura-tipo dei pezzi dei Bunker 66, passiamo alla produzione. Bellissima, oso dire! Tutti gli strumenti sono in ottima evidenza, così da gustare le scorribande del gruppo intero, pur essendo sporca, senza però esagerare (come se mi dispiacesse), e per fare un paragone la produzione di “Out of the Bunker” la accosterei a quella di “Black Metal Jesus” degli Horned Almighty, solo un pochino più rozza ed “ignorante”, anche se in questo c’è un uso più preponderante delle frequenze medio-alte (cassa e basso più presenti ad esempio). Discorso registrazione: niente da dire invece di malevolo neanche qui, i nostri se la cavano egregiamente con i loro strumenti.
E adesso è proprio il momento di parlare della voce. Per me è veramente devastante. Le è stato innestato un effetto-lontananza, aggiungendole così a mio avviso quel pizzico in più di malvagità che serve sempre, quasi a simboleggiare l’imprendibilità del Male, spirituale o fisica che sia. Oltre a questo effetto, la voce è stata anche un pochino riverberata, e questi due aspetti si uniscono, a mio parere del tutto coerentemente, con un tipo di voce che è in pratica un grugnito bestiale (alle volte “scatarrato” come nell’ultima volta del ritornello di “Radioactive Bath”), che ricorda al sottoscritto ben volentieri le litanie infernali di tal Thomas Gabriel Warrior quando militava nei gloriosi Hellhammer. Ma il tocco ironico, goliardico di cui ho parlato ormai molte righe addietro, nella voce mi sembra particolarmente presente, come si evince da una voce che in ogni momento che la sento mi rammenta Volker Frerich dei Warhammer (un gruppo che secondo me vuole clonare senza riuscirci i suoi maestri Hellhammer per quanto personalmente il risultato sia penoso). Il bello è che quando compaiono questi vocalizzi, subito dopo aspettatevi sicuramente un assolo, ed è proprio ciò che succede sia in “Walpurgisnacht” (dove addirittura Damien Thorne pronuncia anche il nome di battaglia del chitarrista) che in “Lurking Demons of (War)”. Mi piace il fatto che questa voce sia stata messa praticamente nei brani più opposti fra loro, come se essa fungesse da apertura e chiusura del demo. Un altro tocco per me particolarmente ironico (in tale contesto almeno) sono le urla acutissime (presenti in “Walpurgisnacht”, nella chiusura di “Blasphemous Ignorance” e durante la prima del ritornello dell’inno “Metal Redentor”) quasi si volessero omaggiare autentici urlatori come John Gallagher dei Raven od il primo Tom Araya (quello di “Show No Mercy”, ben più diabolico). Proprio in queste occasioni io sento con immane piacere forse un’influenza data più dall’heavy metal e dall’NWOBHM che da parte delle sonorità maggiormente estreme. Ma non è finita qui! In 4 canzoni su 6 ci sono dei belli e grezzi “uh!”, che fanno bella mostra di sé in “Blasphemous Ignorance”, qua però “echizzato” probabilmente un po’ troppo, dato che l’eco si protrae all’infinito, “Metal Redentor”, “Radioactive Bath” e “Lurking Demons of (War)”. A tutto questo si aggiungono un residuo bellico della cara e vecchia tradizione sia del thrash metal che del punk-hardcore, ossia i cori, assenti nella sola “Walpurgisnacht”, che offrono a mio avviso una abbondante dose in più di intensità, risaltando in tal modo maggiormente il tutto. Inoltre, ancora nell’ultimo brano sopraccitato, durante l’ultima apparizione del ritornello sono state aggiunte delle urla “pazzerelle”, quasi da posseduti che non hanno ancora smaltito l’effetto-birra, che però secondo me non si presentano molto adatte, in quanto sono terribilmente rumoriste, seppellendo così la voce di Damien Thorne ed il suo ritornello. Faccio notare poi che mi sono piaciute veramente tanto le linee vocali, per non parlare proprio dei ritornelli, di cui i Bunker 66, per i miei gusti, sono maestri. Che dire sulle chitarrone invece? Da parte mia sono un altro indubbio capolavoro. Semplici e senza pretese se non quella di trascinare a più non posso l’ascoltatore, offrono riffs spesso piuttosto brevi ed intrisi di un’intensità a mio avviso di impronta thrash/punk che mi fa scapocchiare la testa in continuazione grazie ad un groove pazzesco, dato anche da singole e decise plettrate (da sentire a questo proposito “Radioactive Bath”) che fanno diventare l’ascolto un vero e proprio bagno di sangue a tinte masochiste. In ogni pezzo, oltre ai classici riffs black/thrash, ci sono anche incubi doom che piacevano agli Hellhammer, colate demoniache che peraltro possono pure assomigliarsi fra loro (“Blasphemous Ignorance” e “A Can of Zyklon Please”) ma in fin dei conti ‘sti cazzi se sono simili, siamo di fronte ad un gruppo vecchia scuola dai! In altre occasioni (“A Can of Zyklon Please”) si fa vivo un per me gustosissimo riff thrash su un tempo medio ed abbastanza melodico, come anche, a mio avviso, più dal sapore black (come quello velocissimo e decisamente lungo con cui si apre “Metal Redentor”). Invece, in “A Can of Zyklon Please” c’è una sorpresa che in un gruppo del genere proprio non mi aspettavo, ossia il finale di questo brano, dominato da un riff che mi sembra quasi un plagio ai Black Witchery di “Upheaval of Satanic Might”, regalando così uno spaccato di black/death spaventoso. Ma c’è un’altra sorpresa, rappresentata dagli assoli. Dio, che goduria! Bone Incinerator, per quanto mi riguarda, ha un gusto per gli assoli strabilianti, anche perché mi pare che qui lui sia stato influenzato moltissimo dall’heavy metal e quindi non aspettatevi niente di nervoso, di catacombale e/o anche per niente melodico. Eh sì, melodici, ma una melodia allegra, birraiola, che incredibilmente fa da paradosso con il lato ritmico della chitarra, spesso “cattiva” e con pochi sprazzi più melodici (“Walpurgisnacht” dove il riff, ossia quello del ritornello, mi sembra decisamente epicheggiante; ed “A Can of Zyklon Please”), come se i Bunker 66 fossero i Bestial Mockery del black/thrash! Notevole anche il lavoro del basso, che a mio avviso aggiunge al tutto una patina di marciume e di atmosfera catacombale, anche perché, e soprattutto come già osservato, è stato messo veramente in ottima evidenza. Tra l’altro riesce (come in “A Can of Zyklon Please”) ad essere un po’ indipendente dal riff di chitarra, oltre a saper costruire linee a mio avviso interessanti (“Radioactive Bath”). Ed eccoci arrivati alla batteria, che secondo me è l’ennesimo capolavoro dei Bunker 66. Desekrator of the Altar accompagna il tutto, con spropositata intensità e con un groove devastante, determinato anche da un lavoro sulla cassa che mi pare caratteristico del black/thrash, con poche ma calibrate svisate in doppia cassa (“Walpurgisnacht”, “Metal Redentor” e “A Can of Zyklon Please”), presentando tra l’altro addirittura soglie in blast-beats (“Metal Redentor e “A Can of Zyklon Please”). Il lavoro è comunque sempre piuttosto lineare (tranne, seppur in misura leggera, forse per “Walpurgisnacht”), e decisamente semplice. Ottima a mio avviso la capacità di risaltare al meglio i riffs, come in “Radioactive Bath” dove nel rallentamento catacombale il nostro esegue un lavoro sui piatti da pelle d’oca, come da minaccia, oppure come nell’inizio di “A Can of Zyklon Please” dove per risaltare l’intensità e la violenza all’intero discorso apre con dei sonori stop ‘n’ go utilizzando anche i tom-tom. Inoltre, ragguardevole a mio avviso l’abilità di Desekrator of the Altar a differenziare uno stesso pattern con dei movimenti improvvisi e snelli che diano maggiore dinamicità al tutto (da sentire a questo proposito il finale di “Walpurgisnacht” o durante il rallentamento di “Radioactive Bath”). Insomma, il nostro non è immobile ma per quanto riguarda la costruzione dei patterns non mi sembra poi così fantasioso, anche se di certo in questo caso per me non costituisce un difetto visto il grandioso risultato raggiunto.
Incredibile a dirsi, ma secondo me il pezzo migliore di tutto il demo è, nel modo più deciso, “Radioactive Bath”. E’ praticamente la canzone più semplice del lotto, dato che è quella che rispetta nel modo più lineare e “banale” possibile il classico schema strofa-ritornello, con rallentamento annesso formato praticamente da un solo riff nella parte centrale. A mio avviso essa è la più intensa del lotto, non solo per quanto riguarda il riffing proposto, degno di “Massacra” degli Hellhammer solo in chiave più groovy, ma anche perché ha il rallentamento che considero il più catacombale e minaccioso dell’intera opera, dove manca tra l’altro nel senso assoluto anche un accenno misero di assolo. E le linee vocali di Damien Thorne….”Radioactive Bath” è assolutamente uno dei pezzi migliori di black/thrash sentiti da me negli ultimissimi anni cacchiarola!
Ma adesso voglio mettere in rilievo altri difetti che personalmente ho rintracciato, tutti concentrati nell’ultimo brano, ossia “Lurking Demons of (War)”, difetti stavolta tutti di impianto strutturale. Prima di tutto, è bene considerare che questa è probabilmente la canzone più particolare di tutte, e questo perché per quasi 2 minuti (ossia per la maggior parte del minutaggio) essa risulta orientata verso un tempo medio marcio ed assassino, sorretto da un riff che mi sembra uno dei più lerci e malvagi che i Bunker 66 si siano inventati fino a questo punto, un riff che tra l’altro viene anche modificato, almeno soltanto tonalmente perché per il resto è in pratica uguale, facendo sentire questo piccolo cambiamento per 2 volte (invece tutte le altre soluzioni, eccetto una di cui parlerò tra pochissimo, sono interessate da 4 e/o da 8 battute). E questa è una sequenza che si ripete ancora in un’altra occasione, per poi dare in pasto a noi ascoltatori il ritornello, che è praticamente il titolo del pezzo. Poco dopo viene ripresa l’iniziale soluzione con annessa variazione, ripetendo, per l’ultima volta, la prima…ed è qui che avviene quello che considero un errore, perché essa viene interessata da una ripetizione di 2 volte, anziché di 4, non permettendo così (almeno a me stesso) di digerire ancor meglio l’atmosfera catacombale creata in modo da dilungarla ancora un pochino. Solo in questo modo, secondo il mio modestissimo parere, si poteva far ritornare a galla il ritornello, ripetuto invece stavolta, ed a mio avviso giustamente, per 8 volte, preparando così il terreno a singole plettrate di chitarra con la batteria che si lavora per bene i tom-tom ed i piatti. Passaggio che molto probabilmente preannuncia la venuta di tempi veloci…e non a caso la previsione si materializza, regalando momenti di puro black/thrash con una soluzione chitarristica a mio parere non proprio azzeccata come tutte le altre ma comunque di buona qualità. Poco dopo, si presenta un nuovo riff, che personalmente ricorda molto da vicino (almeno dal punto di vista formale) la cacofonia malata e dissonante dei norvegesi Beastcraft (un gruppo che propone tutt’altra musica, ossia puro black metal vecchia scuola, e che secondo me è una delle più possedute realtà in circolazione). Tale riff viene ripetuto per 2 volte, dopodiché ecco farsi viva finalmente la voce, dopo parecchi secondi essere stata praticamente morta, in stile Volker Frerich, dando così la scena ad un assolo interessante (esso si sente insieme al riff precedente, quello più black/thrash per intenderci). Ed eccoci quasi arrivati alla conclusione: l’assolo finisce, i Beastcraft li sento ancora per 2 volte, e si ritorna al passaggio che ha permesso tutta questa velocità, facendo finire così il brano. Mi dispiace, ma questa fine non mi è per niente piaciuta dato che “Lurking Demons of (War”) è l’unico pezzo di tutto il demo che mi appare come inconcludente. Forse si poteva riprendere sì il passaggio sopraccitato, ma poi si dava possibilmente la scossa con la voce distruggendo i timpani successivamente con dei blast-beats belli potenti ed un altro assolo, magari nervoso seppur con una melodia ben presente. Forse.
E siamo finalmente alla conclusione. Che dire? “Out of the Bunker” è un piccolo gioiellino di intensità, che per quanto mi riguarda considero come il principale punto di forza del gruppo insieme agli assoli, anche perché in campo black/thrash di simili se ne sentono tremendamente pochi. Sentendo i siciliani Bunker 66 a mio parere è come fare un viaggio intorno ad alcuni dei capisaldi che hanno fatto del black metal ciò che è, nonostante tutto, ancora oggi, e così ecco propinate, tra le altre, origini ben radicate nel punk-ardecore, e quindi li ringrazio sentitamente di questo. E’ anche grazie a loro che gli Hellhammer e compagnia “di culto” vengono ricordati ancora adesso con così tanto affetto e devozione, senza tra l’altro secondo me deturpare le loro grandi gesta. Peccato soltanto per l’ultimo brano, dai difetti che reputo purtroppo decisamente gravi per un gruppo che qualitativamente mi ha ben impressionato, e questa cosa non potrà non influenzare il voto che vedrete più sotto. Ma adesso sono curioso della prossima opera che i nostri 3 baldi giovini partoriranno, e tra l’altro con un’etichetta alle spalle che li supporta da pochissimo (tant’è vero che il suo MySpace, ossia http://www.myspace.com/reinigrecords, è stato creato solo il 14 Novembre 2009!), ossia la minuscola statunitense Reinig Records.

Voto: 76

Claustrofobia

Nota:

tra l’altro, mi piace moltissimo la copertina ironica, specialmente come si atteggia Desekrator of the Altar (che è quello a destra).

Tracklist:

1 – Walpurgisnacht/ 2 – Blasphemous Ignorance/ 3 – Metal Redentor/ 4 – A Can of Zyklon Please/ 5 – Radioactive Bath/ 6 – Lurking Demons of (War)

MySpace:

http://www.myspace.com/bunker66