Tuesday, November 10, 2009

Devastator - "Underground 'n' Roll" (2009)


DEVASTATOR
“UNDERGROUND ‘N’ ROLL” (2009)

Anno di grazia 2006, nel numero di Ottobre di Rock Hard è recensito, tra gli altri, nella rubrica dei giovani gruppi italiani, anche il demo “Thrash ‘n’ War” (pubblicato però un anno prima), che viene subito definito come una buona opera inneggiante al thrash metal tedesco anni ’80 più battagliero. E fu proprio in quell’occasione che io sentii per la prima volta parlare dei Devastator. E da lì, questi baldi giovanotti lucchesi ne hanno fatta di strada, come anche una musica decisamente riconoscibile e personale, seppur allontanandosi, e di molto, dalle radici musicali primigenie, sviluppandosi quindi entro binari di certo non facilmente classificabili, sfuggendo così ad ogni definizione comoda e facile. Infatti, inizialmente ero un po’ indeciso se contattare o meno il gruppo, ma da alcune canzoni che avevo sentito sul suo space mi è parso che esso suonasse thrashcore….santa illusione! Quindi, eccovi, mie cari lettrici e miei cari lettori, la prima formazione non propriamente metal che solca le pagine di “Timpani Allo Spiedo”.
“Underground ‘n’ Roll” è il terzo album dei Devastator (nati dalla fusione nel 2002 di due gruppi di estrazione punk-hc – ossia i Violent Overture ed i Motrok – ed attualmente costituiti da Rob, voce e chitarre, Ricca, basso, e Luca, batteria e cori. Importante segnalare che Rob e Luca sono, come dire, i due vecchi del terzetto, nel senso che sono praticamente i fondatori del gruppo stesso), pubblicato presso la Teorema Edizioni Musicali nei primissimi mesi del 2009, anche se era pronto da un bel pezzo, ossia dal Giugno del 2008, insomma quando nella formazione militava ancora Albe e, non a caso, è proprio sua la voce che si sente in quest’album. Quest’ultimo consiste della bellezza di 15 pezzi particolarmente brevi, e tutto si risolve nell’arco di mezz’ora, sfoggiando una musica che è una mescolanza, spesso scanzonata ed allegra, tra il rock’n’roll, il punk, l’hardcore ed una dose, seppur a mio avviso non molto presente, di metal, non disdegnando ovviamente neanche qualche efficace puntatina nel thrash metal. Il tutto viene proposto con una tecnica decisamente notevole su tutti i livelli (voce compresa), non perdendo mai, secondo me, in incisività, trascinando così l’ascoltatore, almeno personalmente, in continuazione e senza pietà, anche tirando fuori addirittura qualche atmosfera diversa dal solito, che per il mio parere non si può proprio definire come goliardica. Strutturalmente parlando, i Devastator sono molto attenti alla forma-canzone, pur non a farsene imprigionare, ed infatti spesso e volentieri loro sono molto imprevedibili, facendo, per esempio, un assolo quando capita, pure prima di ripetere uno dei temi principali di un dato brano (il discorso assoli lo approfondirò approfonditamente più avanti). L’importante è tenere bene in mente che ogni pezzo ha almeno 2-3 soluzioni dominanti rispetto alle altre, presentando comunque una struttura propria, almeno di solito. Per non parlare, invece, della produzione, che per quanto mi riguarda è ottima, non seppellendo quindi nessuno strumento da un altro, conferendo ad ognuno di esso il posto che giustamente gli spetta, e permettendo in tal modo all’ascoltatore più esigente di assaporare qualsiasi passaggio. In questo caso, comunque, si devono avvisare i tradizionalisti perché qui la produzione, nonostante certo grezzume dato dalla musica, si presenta molto pulita.
Ma adesso via, e parliamo dei testi. I Devastator, a proposito, si avvicinano, a mio avviso, a certa provocazione caratteristica del punk, a mio avviso un po’ simile a quella che caratterizza formazioni hc come Big Boys, Dicks oppure i Circle Jerks (in fin dei conti, come si può vedere nella foto da me pervenutami, Albe era del gruppo il più punk di tutti, con indosso tra l’altro la maglietta dei Nabat, non so se rendo l’idea), se si considerano titoli come “Smash Metal Drink Beer”, “Satan Porno Dog” (che sembra la presa per il culo dello pseudo-satanismo tanto presente nel Metal da minimo 20 anni) oppure “No Scout? Yes, Party!” (chissà come si rispondeva se la domanda era “Yes Scout?”?). C’è pure una specie di manifesto, rappresentato dal pezzo che dà il titolo all’opera stessa, come anche canzoni probabilmente dai toni più seriosi come “I Hate Cover Bands” (fuoco ai gruppi cover YAHOOOO!!!!!) od “Hypocrisy”.
Interessante, secondo me, è anche la copertina, che personalmente ricorda molto quella dell’album “And the Worst Is Yet to Come” degli italianissimi Hyades, con quel gusto un po’ surreale, thrashy ed anche leggermente provocatorio che fa scherno addirittura del problema della radioattività, e non si scordi che nella copertina di “Underground ‘n’ Roll” ci sono tutti e 4 i Devastator, che mi fanno scompisciare dal ridere dato che fanno cose tremendamente assurde (soprattutto quello che vuole prendere una bottiglia di birra da una specie di alieno inghiottito da una piovra!).
Ora, nell’analisi dei vari strumenti parto, come al solito, da Albe. Devo dire che è uno dei cantanti più versatili che io abbia mai sentito, dato che lui non si ferma soltanto ad una voce ruvida tendenzialmente di marca thrashcore (che raggiunge, a mio avviso, un’intensità maggiore nei brani più veloci come “Underground ‘n’ Roll”), ma va pure oltre, sciorinando magari un leggero grugnito death metal (come in un momento di “Desert”, e, anche se qui solo accennato, nella stessa “Underground ‘n’ Roll”), vocalizzi addirittura più di stampo oi! (“Hypocrisy”), come urla isteriche (sempre in “Hypocrisy”, dove tra l’altro sono presenti anche delle risate) od ancora voci “frocieggianti (“Cemetery Beach”), e per non dimenticare poi del parlato e delle urla vomitate presenti in “Here We Go”, oppure di quella voce punk melodica che si sente in “My Sweet Cardinal”. Ricordo però che questa lista rappresenta soltanto una sintesi, figuriamoci poi per quanto riguarda le linee vocali, a mio avviso maggiormente fantasiose. E qua il lavoro diventa decisamente più raffinato, meno grezzo insomma, costruendo così linee, da parte mia, intense, incisive come se ne sentono poche in giro. In ogni pezzo, quindi, state pur sicuri che ci sono linee vocali estremamente diverse l’una dall’altra, e, considerando che qualitativamente, per me, esse sono tutte indiscutibili, credo che sia un po’ inutile citare un brano rispetto ad un altro. Argomento chitarre. Come chitarrista c’è solo Rob, ma grazie alla potenza del suono mi sembrerebbe che ce ne siano almeno 2, e scusate se è poco. Pure qui la varietà e la fantasia regnano sovrane. A titolo di esempi, si fa ampio uso di riffs punk-hardcore, che siano un po’ allegri (“Sambafukka Orchestra” è esemplificativa a tal proposito), più incazzati del solito (“Here We Go” oppure “Underground ‘n’ Roll” dove i toni si fanno quasi epici e battaglieri, un po’ come nei padovani ormai sciolti Milizia HC), sapendo essere talvolta anche più cupi del previsto (ed ecco affacciarsi “No Scout? Yes, Party”); un altro tipo di soluzioni frequentemente adottate sono quelle di marca rock’n’roll, e devo dire tra l’altro che esse mi prendono veramente tanto, pure per via di tempi spesso tremendamente groovy (come non citare, in questo caso, la spaventosa “Satan Porno Dog” o “Smash Metal Drink Beer”?), regalando così al tutto maggiore dinamicità; invece, in un brano come “My Sweet Cardinal” le chitarre mi pare intonino, tra gli altri, anche riffs più propriamente punk in senso melodico (un po’ come la voce insomma); altre soluzioni chitarristiche degne di menzione sono alcune della breve (poco più di 50 secondi) “Rotten Surf”, che presenta qualche passaggio leggermente più contorto del solito, che però può essere pure modificato in assoli brevi (di cui parlerò tra poco); in “I Hate Cover Bands”, inoltre, le chitarre si fanno disperate (almeno questa è la mia interpretazione), ed è qui che, dicevo, i Devastator si allontanano decisamente dalle loro classiche atmosfere (oltre ovviamente quelle più incazzate e selvagge, frequenti invero in misura maggiore); di metal vero e proprio, invece, secondo me, c’è veramente poco, ma comunque sono degne di menzione il momento thrash metal su tempi medi, piuttosto minuscolo, di “Desert”, il riff vagamente thrash veloce di “A Very Famous Corpse”, come le schitarrate rocciose di “Underground ’n’ Roll”, oppure ancora il thrashcore di “Hypocrisy”, che è forse il brano più metal di tutto il lotto. Ma tutto questo ai Devastator non basta, visto e considerato che riempiono la maggiorparte dei loro pezzi (eccetto in “Here We Go”, “Desert”, “A Very Famous Corpse” e “Underground ‘n’ Roll”) di qualche ottimo assolo, che denota, se mai che ne fosse stato ancora bisogno, l’ottimo stato di salute in fatto di tecnica di Rob. Gli assoli fantasiosi, pieni di note (ma senza farli pesare, almeno personalmente), a volte possono citare il rock’n’roll (come in “Satan Porno Dog”), ed anche il metal ha la sua parte, seppur piuttosto piccola (“Hypocrisy”). Qualche pezzo può avere anche più di un assolo (come i 3 solismi di “My Sweet Cardinal”), pure abbastanza breve (“Rotten Surf”). Inoltre, un’altra considerazione importante da fare è che gli assoli possono essere praticamente in ogni punto di un pezzo, in maniera non prevedibile quindi, e, tra l’altro, in “I Hate Cover Bands” il solismo viene addirittura doppiato da un’altra chitarra. Oltre agli assoli, ci sono anche riffs sovrapposti alla chitarra ritmica, e bisogna dire che essi occupano uno spazio decisamente importante (ma non proprio frequente) della musica del gruppo, e credo che gli ottimi esempi di “A Very Famous Corpse” e di “My Sweet Cardinal” bastino per far capire che culo si sono fatti i Devastator per tutti gli arrangiamenti di chitarra (ma non solo, come già si è notato). Ora passiamo al basso. Il lavoro di Ricca si dimostra molto abile e capace di dare profondità, soprattutto in canzoni quali “Metal J.Fox”, e tra l’altro lui è artefice di linee a mio avviso superlative come nella favolosa e birraiola “Smash Metal Drink Beer”. Che dire invece della batteria? Prima di tutto, il suono scelto mi piace tantissimo, molto potente, un po’ simile a quello dei Milizia HC del secondo album “L’Inferno dell’Uguaglianza”. Incisivo come una bomba atomica (lascia tracce non proprio facili da rimarginare), Luca presenta uno stile molto fantasioso, spesso lineare certo (ma anche no, come può dimostrare invero “My Sweet Cardinal”), oltre ad essere piuttosto tecnico. Non si raggiungono però mai velocità in blast-beats ma quando c’è da pestare sul serio Luca non si lascia certamente pregare (“Hypocrisy” probabilmente vince su tutti da tal punto di vista) grazie ad una violenza pazzesca e tonante. Qualche volta il nostro fa uso anche della doppia cassa (come in “Smash Metal Drink Beer”) esternando, in questo modo, ulteriori aspetti per conservare la natura metallica con cui la formazione toscana è partita. Insomma, inutile soffermarsi più in là perché io rimango veramente senza parole di fronte a simile gusto artistico.
Dopo tanto aspettare, è finalmente giunto il momento di sapere quale è, per il mio personale parere certo, il pezzo che più mi esalta di tutto l’album. E questo è “Hypocrisy”, che praticamente è il brano più lungo di tutti, anche se un po’….”diviso” (spiegherò tra poco che cosa ciò significhi), oltre ad essere, secondo me, quello maggiormente thrashcore rispetto agli altri, mostrando tra l’altro un riffing cupo (tanto da tirar fuori anche un riff quasi death) e tremendamente incazzato, addirittura, a mio avviso, in misura maggiore che in “Underground’n’Roll”, seppur in un certo momento quest’atmosfera venga ridicolizzata da un “beeeeh” “pecoraro” da presa per i fondelli. Ridicolizzazione che viene portata completamente a compimento grazie al pezzo-fantasma, che dura poco più di un minuto e che parte con un bellissimo “Oi! Oi!” di Albe, dopo circa 20 secondi la fine del brano ufficiale. E qua c’è veramente di che ridere, considerando soprattutto che per un non-anglofono (come me) sia piuttosto facile capire alcune parole del testo, dato che si mettono in ballo il Tonno Rio Mare (“Ma per cosa cazzo mi hai preso? Per una scatoletta di Tonno Rio Mare?”), come l’eroe di mille casalinghe, quel caro vecchio skin (non a caso…) di Mastro Lindo, il tutto accompagnato da un hardcore devastante al fulmicotone….ancora mi scompiscio dalle risate ahahah!!! Sentire per credere!
Ma ci sono altri due brani, a mio avviso, particolarmente interessanti e degnissimi di menzione, e così inizio da “Rotten Surf”. Questo è praticamente uno strumentale che dura poco più di 50 secondi, in cui il gruppo è capace, in certi momenti, di far immaginare sul serio, almeno personalmente, il mare con relativo (e putrido) surfista, e questo grazie allo strabiliante uno-due di Luca ed anche specialmente ad un riff quasi marittimo. Non ho scritto, inoltre, il termine “putrido” soltanto perché il titolo recita in questo modo, ma soprattutto perché nel pezzo sono presenti delle parti un po’ contorte, specialmente da parte del chitarrista, che qui esalta il suo ruolo di fine solista, attraverso degli abili assoletti. Parti contorte che, nonostante la melodia, per niente cupa, di fondo, dona al brano una patina non proprio rassicurante, almeno secondo me certo. Da segnalare, tra l’altro, che praticamente alla fine si fa viva una seconda chitarra che si esprime attraverso un suono che oserei dire essere liquido, contribuendo così ad aumentare il senso marittimo di “Rotten Surf”. Ma una cosa che mi incuriosisce non poco è il fatto che questa strumentale sia stata messa come ottava traccia, come fungendo da spartiacque tra le due parti che dividono l’opera, quasi per dire che la natura in fondo “cattiva” di “Rotten Surf” precedi una parte dell’album maggiormente incazzata e “buia”…ed in effetti ciò mi sembra che si confermi se si prendono in considerazione i brani più “neri” di tutto il lotto, che sono, nell’ordine: “Underground ’n’ Roll”, “I Hate Cover Bands” ed “Hypocrisy”.
Ed è proprio della seconda canzone sopraccitata che ora parliamo. Questo perché, dal punto di vista strettamente atmosferico, è un brano praticamente unico nell’insieme dell’album, visto e considerato che presenta, a mio avviso, tratti decisamente disperati, andando così di pari passo con il titolo, dando così l’impressione che il gruppo sia veramente stanco dell’attuale situazione concertistica italiana dominata soprattutto dai gruppi cover, inutile anche da parte mia, anche se poi tale disperazione si sposa con le classiche sonorità scanzonate dei Devastator, proponendo quindi un matrimonio paradossale ma che, secondo me, funziona alla grande.
Per quanto riguarda il principale punto di forza, invece, devo dire che il gruppo ne ha, per il mio parere, molti ma penso che piuttosto importanti siano la varietà e la fantasia, aspetti che tengono sempre in visibilio l’ascoltatore più esigente oltre a presentare ovviamente una capacità camaleontica che ha dell’ammirevole, qualche volta interpretando in maniera originale un dato stile, e per non dimenticare i testi scherzosi e surreali, altra, a mio avviso, grandiosa forza dei Devastator.
Che dire ora se non le solite cose già scritte in tutto questa rece chilometrica? Difetti non ne ho trovati, anche se forse, secondo me, si poteva fare qualcosa di meglio per canzoni quali “Satan Porno Dog” e “My Sweet Cardinal” in fase conclusiva ma probabilmente chiedo troppo. Ammirevole il senso strategico del gruppo per quanto concerne l’ordine dei pezzi, partendo dalla pazzerella intro “Sambafukka Orchestra”, in cui Albe presenta l’album, allo strumentale-spartiacque “Rotten Surf”, per finire con il brano-fantasma, una sorta di saluto che finisce con un “Buongiorno, benvenuti a…” e le ultime parole non le ho ben capite! A mio avviso, i Devastator possiedono uno stile piuttosto personale e coraggioso, una specie di Plakkaggio HC solo allegri anche in musica, e con il terzo album i nostri hanno dimostrato che si può fare qualcosa di diverso dal solito pure in questi ultimi tempi. Ed intanto la Toscana esulta! 3 gruppi toscani (gli altri sono i pisani Subhuman ed i livornesi Profanal) pubblicizzati su questa rivista, 3 promozioni di alto livello, soprattutto da parte di questi ultimi arrivati.

Voto: 90

Claustrofobia

P.S. Faccio notare, come ultima cosa, che quest'album mi è stato mandato da Luca per posta classica. La bella cosa è che la prima volta che ho visto la confezione promozionale l'ho presa per un vinile! Un'ottima confezione tra l'altro, dove è presente anche una bella e dettagliata biografia del gruppo.

Tracklist:

1 – Sambafukka Orchestra/ 2 – Here We Go/ 3 – Satan Porno Dog/ 4 – Cemetery Beach/ 5 – No Scout? Yes, Party!/ 6 – Desert/ 7 – Dead Pride/ 8 – Rotten Surf/ 9 – A Very Famous Corpse/ 10 – Underground ‘n’ Roll/ 11 – Smash Metal Drink Beer/ 12 – My Sweet Cardinal/ 13 – I Hate Cover Bands/ 14 – Metal J.Fox/ 15 – Hypocrisy

MySpace:

http://www.myspace.com/devastatorcrew

Sito ufficiale: