Thursday, December 3, 2009

Egomass - "Estreme Conseguenze" (2009)


1. INTRODUZIONE.
Entità come gli Egomass, a mio avviso, sono più uniche che rare. Infatti, di tutti i gruppi che ho sentito e recensito nelle pagine di “Timpani Allo Spiedo”, gli Egomass fanno parte indubbiamente di quella ristretta cerchia costituita da sì e no tre formazioni capaci di sputare una pesantezza colossale, monumentale tanto da sembrare veri e propri alieni per quello che riescono così tranquillamente a fare, e da questo punto di vista sono paragonabili ai torinesi Putridity, ma in tal caso il massacro mi pare completamente diverso, anche molto più piacevole ai miei timpani distrutti dagli “eroici” ascolti di “Estreme Conseguenze”, disco estremo se mai ce ne fosse stato uno, un’opera che secondo me fa sembrare gente quali Conqueror, Marduk, Handful of Hate come cagnolini (e questo non è un insulto). Premetto, tra l’altro, che esso è un disco per un popolo dalla mentalità tremendamente aperta dato che qui vengono inglobate le più disparate influenze dando come risultato qualcosa che considero originalissimo e pazzesco, che farà esaltare di gioia sicuramente gli ascoltatori più esigenti. Ma ora diamo il via alle danze.
2. PRESENTAZIONE DEL DEMO.
“Estreme Conseguenze” è il secondo parto e demo (il primo era “Demo 2006”), pubblicato nel 2009 anch’esso, come il precedente, in maniera completamente indipendente, degli Egomass, esponenti della fervida ma purtroppo isolata scena estrema sarda, formati nel lontano 1996 ed attualmente costituiti da Luca Pintore, voce, Paolo Lubinu, chitarra, Antonio Mulas nelle vesti di bassista, e Flavio Fancelu, mostruoso batterista. La loro ultima creatura si snoda attraverso 8 pezzi per un totale di 41 minuti complessivi, e quindi, già dal minutaggio medio (in pratica poco più di 5 minuti a brano. Pensate che il più lungo è “Posso Ancora Chiedere” di poco più di 6 minuti, ed il più modesto è invece “Coscienza II”, di quasi 4), piuttosto pesantino, credo che si capisca già che i nostri non scherzano affatto. Se poi si mette il disco nel lettore allora tutto diventa chiaro e cristallino, e magari ci si divertirà pure masochisticamente a farsi bruciare i timpani, mai così prossimi ad infarto garantito. Sì, perché la musica che i 4 sordi propongono (introdotta un po’ lentamente da rumori simil-pioggia che diventano sempre più forti) è, a mio avviso, praticamente inclassificabile, sfuggente, imprevedibile come poche formazioni sanno fare, dalla concezione molto moderna, tecnicissimo fino a farti scoppiare e strutturalmente un inferno vero e proprio che tortura la tua mente nel modo più brutale possibile. La musica degli Egomass è secondo me altamente ipnotizzante, dato che cerco così tanto di capirla da rimanerne ciecamente ed irrimediabilmente affascinato, è un vortice folle di note e suoni sempre più differenti l’uno dall’altro, anche perché personalmente ho rintracciato, come già osservato in sede di apertura, le più diverse influenze, passando così dal death metal, anche melodico, ad un thrash personalissimo, dal mathcore stile The Chariot ad elucubrazioni jazz che farebbero invidia pure a John Zorn, per poi attraversare lidi di meshugghiana memoria e probabilmente in certi momenti viene citato anche il metalcore. A questo punto, per me la definizione del suono del gruppo presente su Metal-Archives risulta letteralmente fuorviante (groove/thrash metal con influenze punk-hardcore) perché in questo modo non soltanto si confonderebbero gli Egomass per qualcosa di simile agli Excel e compagnia, ma si crea il rischio di imprigionarli in una categoria che per quanto mi riguarda non tiene in nessun conto della loro vera essenza, relegandoli così come un gruppo qualunque attraverso termini il più possibili comodi. Io piuttosto andrei sul vago, e li considererei semplicemente, al massimo, come metal estremo tecnico e sperimentale. Il bello è che loro sono sì estremissimi come pochi, ma senza puntare necessariamente sui tempi veloci, presentando altresì un buon equilibrio tra questi e quelli più lenti, anche se forse leggermente di più verso questi ultimi, andando rare volte lentamente. La cosa incredibile è che riescono ad offrire, in alcune occasioni, anche una bella dose di groove (sentitevi a questo proposito, per esempio, soprattutto l’inizio di “Dubbio”) e tra l’altro pure con una certa frequenza. Un altro aspetto a mio avviso estremo degli Egomass, oltre ovviamente alla tecnica impeccabile che mi risulta superiore e più d’impatto di quella di realtà spesso secondo me tristemente osannate quali sono gli Psycroptic (infatti mi chiedo quanta concentrazione i nostri pongano sulla loro musica), è senza nessuna ombra di dubbio la struttura che permea ogni pezzo. Per niente lineare, matematica oserei dire, essa si basa praticamente su cambiamenti improvvisi e burrascosi, anche d’umore talvolta diversissimi fra loro, sui cui qualche volta si innestano degli intermezzi brevissimi, in modo, per il mio parere ovviamente, di rendere maggiormente intensa, complessa e violenta la soluzione subito successiva, funzionando così da ponte con la precedente. A volte, questi intermezzi (come in “Il Solito Gioco”) vengono subito dopo ripresi, facendoli divenire vere e proprie soluzioni. Però, una cosa che mi incuriosisce è il fatto che, nonostante tutto, in media ogni brano presenta almeno 3 (“Posso Ancora Chiedere”, a meno che io non sbagli)-4 soluzioni (pure semplicemente accennate) che durante il discorso vengono riprese attraverso anche 2 differenti modalità, oltre alla solita, molto importanti ai fini della musica: la prima è certamente quella più classica di entrambe, ossia si modifica un passaggio, che di solito è quello precedente (cosa che succede piuttosto spesso), mentre la seconda è decisamente meno convenzionale tanto, forse, da sembrare un residuo del jazz più estremo, cioè non si modifica in senso stretto una data soluzione ma questa viene più che altro sottoposta a delle variazioni terribilmente improvvise, che possono qualche volta un po’ prevedere quella successiva (“Come Fare?” da questo punto di vista mi sembra indubbiamente esplicativa, e tra l’altro ciò succede entrambe le volte in cui il passaggio, piuttosto veloce, si fa vivo). Di conseguenza, la struttura, spesso e volentieri, non mi risulta per niente tradizionale, non presentando quindi, solitamente, una sequenza rigida ben definita, ed anche per un altro motivo, rappresentato dal numero di volte in cui una stessa soluzione può essere ripetuta in 2 o più occasioni. A tal proposito, un esempio abbastanza interessante è dato da “Coscienza II”, che ritengo il brano più “lineare” del lotto (spiegherò prossimamente perché) in cui due passaggi diversi si danno il posto a vicenda altrettante volte, solo che l’unico “problema” è il fatto che la prima soluzione, nella prima botta, viene ripetuta in 4 battute, nell’ultima invece addirittura in 7. Sorte simile (ma non esattamente identica) per il secondo passaggio in cui nella prima occasione questo viene ripetuto solo una volta, nell’altra in 2 tempi, seppur nel secondo tutto rallenti non poco (e si modifichi, nell’ultima parte, con una melodia nuova). Una sequenza simile è presente anche in “Il Solito Gioco”, soltanto un po’ più, come dire, “fissa” per il numero di volte in cui una stessa soluzione si ripete, ed inoltre il secondo passaggio viene sottoposta ad una terza apparizione (cosa che succede, tra l’altro, anche nell’ultima “Dal Dolore Al Pianto” , oltre che nella stessa, mi pare, “Coscienza II”). Inoltre, in poche occasioni, qualche soluzione viene ripetuta solo per una volta, come addirittura, il che è tremendamente ancora più convenzionale, 5-7 volte e mezzo et similia (“Come Fare?” è secondo me la migliore in tal senso)! In questo modo, l’angoscia trasmessami dalla musica aumenta notevolmente, infatti non scordiamoci che in fin dei conti anche la musica metal, generalmente, ripete spesso un dato passaggio per dei numeri divisibili per 2 (4, 8…). Il senso di “piacevole” angoscia (tanto per usare un ossimoro) mi si impenna ancora di più se si pensa che in certi momenti i nostri sardi amano ripetere una soluzione anche assurdamente per una decina di volte (come per esempio nella stessa “Come Fare?” oppure in “Il Solito Gioco”), regalando così una sensazione di paranoia, di ossessività dolorosissima al massimo (altro che black metal ragazzi miei!). E, come già osservato, per me proprio la prima traccia, “Coscienza II”, è quella più lineare del lotto rispetto alle altre, visto e considerato che si poggia su un tappeto di 4 soluzioni (ossia la maggioranza delle presenti, caso unico in tutto il demo), presentando anche una seconda sequenza, anch’essa capace di ripetersi subito dopo la prima parte e che costituisce, fra l’altro, anche il finale del pezzo, che negli ultimi secondi subisce un’impennata, l’apice definitivo di una violenza impietosa (ossia la quarta soluzione modificata opportunamente) dando in tal modo il colpo di grazia. Insomma, inutile dilungarsi oltre, la struttura-tipo dei pezzi degli Egomass è spesso terribilmente dinamica e nervosa, piena di variazioni camaleontiche, una struttura a mio avviso paragonabile ad un flusso di coscienza continuo ed inarrestabile degno di quel mattone di nome “Ulisse”, creatura dell’irlandese James Joyce, e non a caso mi pare che essa sia coerente al massimo con i testi proposti, molto intimisti, per i miei gusti per nulla banali, piuttosto negativi ed a quanto mi sono accorto pregni di una natura filosofica interessante, e tra l’altro c’è pure una ragione in più per apprezzarli maggiormente, almeno a mio parere: sono completamente in un italiano decisamente comprensibile, cosa rara nel Metal italiano (eccetto per il black metal), e qua prevedo un pochettino l’influenza da parte del punk-hardcore della nostra cara penisola. Parliamo adesso della produzione: mi risulta molto d’impatto, compressa oserei dire (come vuole spesso il Metal moderno), e quindi concentrata molto sui volumi medio-alti, e comunque pulita. Una produzione simile la accosterei a quella dell’album “Everything Is Alive, Everything Is Breathing, Nothing Is Dead, and Nothing Is Bleeding” dei The Chariot. Tutti gli strumenti sono in buona evidenza, anche se un maggior risalto per il basso, alle volte seppellito dal resto (o sono sordo io?) non credo avrebbe fatto male. Nulla da eccepire invece per l’ottima registrazione, praticamente senza sbavature, anche perché gli Egomass tecnicamente sono dei mostri.
Vorrei adesso dare qualche mia impressione sulla copertina del demo. Qualche riga fa ho usato il termine “ipnotizzante” per descrivere la musica del quartetto sardo, cosa che forse viene confermata proprio dall’inquietante disegno in copertina, che ritrae un vortice dove è riflesso un viso che si vede praticamente in ogni parte: al centro del vortice, ai suoi lati, e così via. Sembra lo sdoppiamento della personalità, mille William Wilson (chi ha letto Edgar Allan Poe può capire) che vengono inghiottiti da un vortice di proporzioni cosmiche, rappresentando così probabilmente proprio il caos assassino che gli Egomass vogliono trasmettere e far sentire fino al cuore.
3. ANALISI STRUMENTI.

Adesso analizziamo i diversi strumenti, partendo, come al solito ormai, dalla voce. Dal punto di vista della varietà e della fantasia, Luca mi sembra quello del gruppo che ne presenta di meno, anche se ciò a mio parere non rappresenta un difetto, visto e considerato il grandioso risultato raggiunto. Infatti, il nostro sa sfoggiare delle voci che considero pazzesche, che sono solitamente una via di mezzo, decisamente pesante ed invero poco comune nel Metal estremo, tra grugniti ed urla, facendomi ricordare così, almeno in un certo senso, la disperazione, in versione però un po’ più grezza e meno urlata, di Aaron Turner degli Isis, ed alle volte il tono usato diventa un po’ più alto, divenendo in tal modo finalmente urlato. In quest’ultimo caso, penso che il paragone più adatto e sicuramente scontato sia l’alienazione apocalittica, l’inquietante e fiera meccanicità degna di un robot impazzito ma allo stesso tempo lucido di Jens Kidman dei Meshuggah, il tutto però filtrato attraverso la disperazione di cui sopra. Si, perché Luca, almeno personalmente, trasmette un’angoscia (aumentata dal fatto che certe volte la sua voce risulta doppiata, cioè, incisa due volte, ed anche dall’eco, usato però soltanto in “Coscienza II”), un tormento non macchinosi ma perfettamente umani e fragili, intenti probabilmente a scavare la propria contraddittoria, sfuggente ed incoerente (im)personalità di essere umana di pirandelliana memoria. Ma le urla torturate anzidette raggiungono, questa volta ancora meno frequentemente, vette maggiori di dolore quando diventano come soffocate, somiglianti a certune proposte da Marko dei Land of Hate (3° numero di “Timpani Allo Spiedo”), tanto per fare un paragone con un gruppo partecipante anch’esso all’iniziativa di questa rivista. La sogna del dolore, in questi momenti, è come se fosse stata superata, e così ecco Luca immerso in un oceano di rabbia paranoica, che si completa anche attraverso linee vocali a mio avviso spaventosamente ottime e dannate. Linee vocali spesso declamate dalla ripetizione di alcune parole in un quadro ossessivo che secondo me trova uno dei suoi maggiori apici in “Posso Ancora Chiedere”, in cui il nostro, quasi nei momenti finali, diventa ipnotizzante e frustrante (in senso positivo beninteso), ed è proprio qui che Luca paia trasmettere il senso di un’umanità sola ed insicura, dove ogni cosa che la circonda è completamente indifferente ad essa, ripentendo in tal modo parole meccaniche ma umane, troppo umane (Nietzsche uber alles). Da notare poi che lui fa spesso uso di urla dilatate per molti secondi, aumentandomi così il senso di dolore infinito. Se il reparto vocale mi fa questi effetti allora immaginatevi il resto, e così via con la chitarra! Noto che parlo di “chitarra” in quanto il plurale in pratica non esiste, considerando infatti che qui non ci sono né assoli (e a che servirebbero comunque?) né chitarre soliste che diano manforte alla parte ritmica, magari amplificando il riff principale. Anche se d’altro canto ci sono momenti di chitarra acustica, ed in tal caso sto parlando dell’inizio di “Dubbio”, introduzione tagliente, cattiva e paurosa, e della parte centrale di “Posso Ancora Chiedere” in cui l’acustica intona incredibilmente un motivo semplice ed oserei dire minimalista, ma da contrappeso paranoica praticamente fino al collasso, per non dire dannatamente minaccioso da infarto. Ma la chitarra elettrica è ben altra cosa, considerando che spesso e volentieri è una girandola di note continuamente vogliose di spaventare chi le ascolta, e bisogna far notare tra l’altro che essa, molte volte, gracchia i timpani in una maniera bestiale, come se il nostro Paolo Lubinu stesse stuprando letteralmente il suo strumento in modo da far sentire male pure l’ascoltatore più preparato (come un riff rumorista a là The Chariot di “Coscienza II” o quello continuamente variato su tempo veloce di “Come Fare?”, ma si possono fare moltissimi altri esempi!), passando inoltre tra diversi stili, magari a mio avviso reinterpretandoli in maniera originalissima, come il thrash (un esempio lampante è “Dubbio”), oppure il death metal di impronta melodica (come succede in “Coscienza II”). Eh sì, gli Egomass riescono, nonostante tutto, ad essere pure melodici, tirando in ballo melodie più digeribili del solito ma sempre belle disperate (altri brani in tal senso sono “Dubbio” ed “Io Spero”), creandone anche di un po’ più “positive” (se mai sia possibile definirle così) in “Dal Dolore Al Pianto”. Ma molte volte i riffs sono così tecnici, contorti e particolari da darmi l’impressione che essi stiano prendendo letteralmente per i fondelli il dolorante cantante (e qua praticamente in tutte le canzoni), e, di conseguenza, l’ascoltatore stesso, un po’ ad effetto-Huysmans di “A Ritroso”, ed il senso di sfida viene notevolmente aumentato se si pensa che qualche soluzione è di una lunghezza pazzesca (ascoltate per credere brani quali “Il Solito Gioco” ed “Io Spero” – in quest’ultimo caso il riff mi pare, nonostante tutto, addirittura più “lineare” rispetto al primo esempio), pesando così maggiormente sui nostri “poveri” (anche se dipende dai punti di vista) timpani. In altre occasioni si fanno vivi, come già osservato poco fa, sferraglianti rumorismi che personalmente ricordano i già citati The Chariot (ma non solo a tal proposito), ma da segnalare ben volentieri anche uno presente in “Dal Dolore Al Pianto”, piuttosto semplice strutturalmente, e tremendamente inquietante e quasi meccanico, come per rappresentare idealmente l’annullamento di sé di fronte ad un dolore continuo e perverso. Ma non è finita qui! Come non ricordare infatti le disturbanti dilatazioni del finale proprio di “Dal Dolore Al Pianto” che potrebbero andare benissimo per un gruppo drone, oppure il semplice riff ingannevole di “Il Solito Gioco” (ingannevole nel senso che risulta costituito da 2 parti in apparenza completamente identiche, mentre invece la seconda è di poco più lunga della prima), od ancora i brevi e saettanti arpeggi di “Dubbio” ed ancora quei riffs rocciosi, che dal punto di vista della struttura spesso non mi sembrano poi così difficile, che riempiono ogni canzone (esempio però più lampante è, a mio avviso, “Posso Ancora Chiedere”), e bla bla bla? Questa, ragazze/i mie/i è soltanto una lista esiguissima delle soluzioni di chitarra proposte dagli Egomass, compito vostro è sentirli più da vicino perché perdersi fra le loro note mi pare assurdamente facile. Però quello che più sorprende il sottoscritto è il fatto che Paolo riesce a fare questo “casino” TUTTO da solo, riuscendo magicamente a stordire a più non posso senza nessuna pietà, almeno personalmente certo! Che dire invece del basso? La prova di Antonio mi è veramente piaciuta, maggiormente in brani quali il devastante “Posso Ancora Chiedere” dove esegue linee a mio avviso superlative e progressive, anche se mi sembra che lui non sconfini mai in territori solisti (attenzione, non lo metto come difetto, soltanto come consiglio) veri e propri e secondo me questo è un punto su cui bisognerebbe lavorarci sopra, pure a livelli minimi. Infine, ecco il turno della batteria che è quanto di più tecnico e jazzistico mi sia capitato di sentire negli ultimissimi anni in campo metal, risultandomi anche veramente molto versatile, magari andando in blast-beats, sempre però rarissimi e di una brevità colossale (come in “Dubbio”), oppure rasentando tempi tipici del metalcore odierno, a mio avviso reinterpretandoli degnamente (“Posso Ancora Chiedere” mi pare un esempio importante). Ci sono, tra l’altro, tempi stranamente groovy (“stranamente” visto il quasi permanente andamento a-lineare di ogni pezzo, e da questo punto brani esemplificativi sono per esempio gli inizi di “Dubbio” o di “Posso Ancora Chiedere”, dove invece la batteria cambia in continuazione su uno stesso riff, instabile come non mai). Sono presenti anche patterns un po’ più, oserei dire, rilassati (sempre nell’ultima traccia citata durante insomma la chitarra acustica), o vagamente thrasheggianti (ad esempio “Dubbio”). Tra l’altro, mi par di capire qua e là l’influenza importantissima data da Thomas Haake dei Meshuggah al nostro Flavio, così che il lavoro ritmico mi risulti in misura maggiore inquietante, quasi meccanico certe volte. Un’altalena paurosa di una batteria che ha tutto un proprio ordine ed un proprio scopo, memore della lezione impartita dal jazz più astruso ed imprendibile. Folle e lucida contemporaneamente.
4. PEZZO MIGLIORE.

Dopo questa lunga carrellata di cose assurde, è arrivato il momento di dire la personale traccia migliore di tutto il lotto. Compito che mi è alquanto difficile da espletare se si pensa all’ottima qualità, a mio avviso al limite della perfezione, di ogni pezzo, ma è pur vero che forse bisogna dare un posto d’onore all’ultimo brano, ossia quello che dovrebbe finire degnamente un’opera, soprattutto se così sorprendente. E non a caso “Dal Dolore Al Pianto” risponde a questa chiamata in quanto secondo me ha l’apice più devastante di tutto il demo, dato che qui ci sono alcune delle soluzioni che reputo le più malate e disturbanti, e questo soprattutto nel finale dove si susseguono impietosamente con una distruzione pazzesca, con una violenza parossistica e contagiosa, magari anche attraverso una batteria tonante concentrata su un tempo medio minaccioso che sembra preannunciare la venuta dell’inascoltabile (in senso positivo, non pensate a male), in cui proprio il tempo è come se si annullasse. Paolo, intanto, ci distrugge con un riff che cancella completamente il suo concetto classico, dilatato ed imprevedibile com’è, caotico oserei dire, per farlo poi diventare una singola nota che lentamente sfuma(ma non attraverso il volume che nel modo più classico viene abbassato gradualmente). Questo è probabilmente il momento in cui il pianto è arrivato e l’uomo si rassegna, si chiude completamente in sé stesso, in preda ad un delirio insolvibile quale è la natura umana. Un pianto che penso può far male a molti ascoltatori che vedono tra l’altro l’ascolto finito in un modo così brutale, negativo ed assolutamente senza nessuna pietà.
5. I FINALI.

Ma i nostri baldi sardi, a mio avviso, le canzoni riescono sempre a finirle in una maniera convincente, spesso in modo totalmente imprevedibile e brusco, come una lama tagliente che ti entra nelle carni, quasi a simboleggiare l’impossibilità dolorosa di comprendere ordinatamente il proprio sé, e praticamente solo di pochissimi brani viene, per così, “annunciata” la fine. In tal caso, ci sono da considerare “Coscienza II”, di cui ho già parlato, in misura minore “Posso Ancora Chiedere” (“in misura minore” perché ha un finale particolarissimo dominato da una soluzione semplicissima, presa dal riff di poco precedente, che viene stoppata subito dopo ogni volta che si fa viva, e che viene ripetuta apparentemente all’infinito facendo così finire il tutto in un silenzio catacombale) e proprio “Dal Dolore Al Pianto”. Il resto invece sono come ferrari impazzite senza freno che si schiantano nel modo più atroce, meteoriti a velocità supersoniche pronte a cancellare definitivamente la Terra sulla faccia dell’Universo.
6. PUNTO DI FORZA.

Mi sembra adesso un po’ sconta tino dirlo, ma per me il principale punto di forza della musica degli Egomass è AS-SO-LU-TA-MEN-TE la sua incrollabile e nichilista complessità, che emotivamente mi lascia continuamente con il fiato sospeso, una complessità immaginifica che gioca moltissimo sul piano emotivo attraverso tantissimi aspetti quali per esempio i finali bruschi, motivi stridenti, una tecnica al fulmicotone, e così via. Tutto questo praticamente può far andare in manicomio anche l’ascoltatore più divertito ed esigente.
7. CONCLUSIONI.

In conclusione, “Estreme Conseguenze” è un disco ricco, bizzarro, un qualcosa di pazzesco che a mio avviso sostanzialmente è mathcore allo stato puro (in effetti il “core” lo vedo anch’io ragazzi!), formalmente è una musica che incorpora mille influenze che non possono essere riassunte, figuriamoci in sintesi. Un disco di un gruppo, ormai veterano, secondo me già maturo, assolutamente consapevole delle proprie capacità certamente poco comuni, e che è adatto sicuramente a qualsiasi spasimante delle sperimentazioni sonore più estreme come solo gli Psyopus, i primi The Dillinger Escape Plan, i Sikth o i The Chariot sanno fare. Eppure, per il mio parere, margini di miglioramento ci sono, bisogna provare infatti, per esempio, a creare linee soliste per il basso, anche se mi è difficile immaginare che gli Egomass riescano ad eguagliare questo capolavoro di immane potenza, ma per quanto mi riguarda le credenziali ci sono tutte, e quindi avanti al prossimo! “Estreme Conseguenze”, per me, va completamente vissuto, ma carissime e carissimi, quanto è difficile farlo!

Voto: 97

Claustrofobia
P.S. Segnalo che i brani "Dubbio" e "Posso Ancora Chiedere" erano già presenti nel primo demo del gruppo.
Tracklist:
1 - Coscienza II/ 2 - Come Fare?/ 3 - Dubbio/ 4 - Il Solito Gioco/ 5 - Chi Sono/ 6 - Posso Ancora Chiedere/ 7 - Io Spero/ 8 - Dal Dolore Al Pianto
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